Le tre lezioni di Vitigno Italia

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

C’è una parabola che più di ogni altra cosa spiega la psicologia da sconfiggere qui al Sud, ove si parla di un milanese, di un romano e di un napoletano chiamati dal Signore, o dal Genio della Lampada se volete, ad esprimere un desiderio per compensare e facilitare la loro vita onestamente condotta sino a quel momento. Con una condizione: <Qualsiasi cosa mi chiedete, ne darò il doppio al vostro vicino di casa>. <Caro Padreterno – dice il milanese – ti ringrazio, io desidero aumentare il mio stipendio per fare studiare i miei figli all’Università>. <Io – invece, chiede il romano – voglio una casa in centro per evitare il traffico>. Il napoletano tace, ci pensa un po’ su, poi, sollecitato, esclama: <Padretè, cecami un occhio!>. L’individualismo esasperato teso non alla competizione ma alla distruzione di chi esercita la stessa attività, l’incapacità di guardare oltre la punta del proprio naso, la sordità ad ogni richiamo per fare sistema, mettersi insieme, promuoversi, è il gap psicologico più difficile da superare quando si organizzano manifestazioni al Sud: nei consorzi si litiga su presidenza e posti di controllo, per questo si resta paralizzati anni e anni a discutere e a odiarsi dando lavoro inutile ai magistrati, spesso se ne fanno altri in concorrenza, mentre i buyers o i giornalisti specializzati non hanno riferimenti istituzionali sotto Roma, al netto della Sicilia. A questo limite strutturale nella costruzione della mentalità si aggiunge, sedimentata nel corso dei secoli nelle campagne meridionali, la paura di essere depredati e aggirati, per cui non si investe nulla in promozione e si aspetta sempre e comunque l’ente pubblico, salvo poi a criticarlo.
Il successo di Vitigno Italia, confortato dai questionari distribuiti ai produttori presenti sul grado di soddisfazione, si è scontrato con questi problemi oltre che con le gravi difficoltà oggettive in cui si trova la Campania in questo momento: facile dare addosso a chi governa, ma in una regione dove quasi nessuno usa il Telepass perché si vive giorno per giorno il trasferimento in autostrada preferendo fare lunghe code, come può maturare un gruppo dirigente capace di pensare da qui a due, tre anni, la soluzione di problemi strutturali come la spazzatura e l’acqua?
Ma torniamo al vino. La prima lezione dovrebbero impararla certi rappresentanti, ma dubito che ci riusciranno, che hanno fatto soldi vendendo i prodotti di aziende di altre regioni profittando del vuoto esistente al Sud sino alla metà degli anni ’90. Dimostrando scarsa capacità di aggiornamento, oltre che di attaccamento alla terra dove sono nati, vissuti e arricchiti, continuano a dire quel che si diceva vent’anni fa: <qui si fanno i pummarole, i vini facciamoli fare agli altri>. Appartengono ad una categoria provinciale che ha cercato di chiudere la crescita del vino campano e, per questo, sono stati superati da una nuova generazione che invece ha preso per mano alcune aziende, ci ha creduto e ci ha iniziato a guadagnare ancora di più perché se è vero che il vino è marginale nell’agricoltura regionale, è anche vero che si tratta di un prodotto trendy e molto buono, tipico: non a caso parliamo di una regione che non riesce ad avere stoccaggio visto che consuma il doppio di quello che produce. Una ricerca condotta dall’Università di Portici ha inoltre scoperto che la Campania è la regione più forte per i bianchi a Roma ed è forte anche in Emilia Romagna e a Milano, il che significa che i suoi vini, grazie alla tipicità e al rapporto tra qualità e prezzo, sono buoni competitor proprio nelle regioni poco forti in questo settore e quindi più disposte a comprare i prodotti degli altri. Questi rappresentanti non sono venuti alla manifestazione, ma ormai sono paragonabili ai reduci di Salò, residui di una storia vitivinicola, di una rinascita dei territori, realizzata nonostante la loro opposizione. Sono come alcuni presunti esperti che per atteggiarsi tali dopo aver provato un Aglianico esclamano: <In Borgogna è un’altra cosa>. Chi parla così non capisce né dell’uno né dell’altra, è solo un idiota da evitare.
La seconda lezione è per certa stampa provinciale troppo pronta a fare da cassa di risonanza ad alcune critiche senza ascoltare le due campane, capace sempre di fare tutta un’erba un fascio, che usa il proprio organo di informazione come una pistola e non come uno strumento di servizio, che da soggetto narrante tende a diventare soggetto protagonista, prona di fronte ai potentati, arrogante nei confronti di chi si fida del proprio lavoro e delle proprie idee. Ed ecco allora magari dare pari dignità a questa manifestazione e ad una verticale di un vino di serie B prodotto in altre regioni, il ché denota mancanza di misura e assenza di percezione degli esatti confini delle cose, la visione che danno della realtà è distorta, un po’ come le carte geografiche degli antichi in cui la Sicilia è grande come l’Africa. Questa in verità non è una prerogativa del Sud, ma di tutta l’Italia. La lezione è: verificare, visitare possibilmente, e poi magari fare osservazioni critiche. Purtroppo alcuni giornalisti sono convinti di essere come Ulisse nell’Ade, di avere il potere di dare forma alle ombre con il loro pc, non si rendono conto che oggi i canali informativi sono molteplici e che le persone attente riescono ad avere la visione esatta delle cose proprio comparando tutti i resoconti.
La terza lezione riguarda gli imprenditori: per costruire un evento è necessario crederci fortemente, lavorare su un planning di almeno tre, quattro anni, non pensare di guadagnare sin dalla prima edizione per poi scappare, bisogna avere un rapporto corretto con le diverseprofessionalità e le diverse sensibilità espresse dai vari campi in unpaese. Il gruppo imprenditoriale di Vitigno Italia ha dimostrato di saperlo fare dopo alcune vicissitudini interne, sa ascoltare ma sa anche decidere, sa far fronte ai cronici deficit di una città che ti blocca il traffico senza dare alternative proprio il giorno in cui si apre la manifestazione. Vi immaginate una cosa del genere a Verona il giorno del Vinitaly? Con la differenza che Verona è piccola, si può anche fare una scarpinata, mentre Napoli è enorme, pensate quanta gente dalla regione sarebbe venuta la mattina e ci ha rinunciato per questo motivo. Ma non basta: la stessa Fiera d’Oltremare due settimane prima ha ospitato un evento altrettanto importante, SaltExpò, non ponendosi minimamente il problema che l’uno potesse danneggiare l’altro, come, per tornare al parallelo, se a Verona due settimane prima di Vinitaly si facesse Fieragricola. Due esempi di semplice coglionaggine istituzionale o di mentalità da pacco di Forcella?
Vitigno è stata invece una manifestazione capace di rovesciare i luoghi comuni, mettere assieme le energie più disparate, offrire un quadro della realtà produttiva, al tempo stesso è stato incredibile il numero di aziende delle altre regioni presenti, segno di un interesse per unmercato ancora in crescita, lo spazio Cooking for Wine di Luigi Cremona e Lorenza Vitali è stato un grande polo attrattore, anche se non l’unico stavolta, la nuova esperienza delle Piccole Vigne, così come i programmi Ais, Ersac, i concorsi, le presentazioni. Per certi versi mi è sembrata addirittura più ricca di Merano dove a parte le degustazioni c’è ben poco da fare. Probabilmente l’anno prossimo sarà necessario implementare i vini degli altri paesi del Mediterraneo, magari con la formula dello Stato ospite affidandola a qualcuno che la anima maggiormente.
Credo che l’atteggiamento di ciascuno debba essere sempre di sostenere quel che si fa nel proprio territorio, anche quando non si è protagonisti in prima persona perché gli effetti benefici di qualcosa che funziona ricadono su tutti. Noi meridionali siamo da sempre nelle stazioni e negli aeroporti come nessun altro italiano. Ebbene, non è bello rientrare a casa la sera dopo aver partecipato ad un evento di livello internazionale a pochi chilometri? Forse questa semplice riflessione imporrebbe a tutti la legge di ascoltare il doppio di quello che si dice, visto che abbiamo due orecchie e un bocca. Ma forse le orecchie degli uomini piccoli non sono fatte per sentire, hanno i tappi di vinaccia.


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