Dal 2004, data in cui abbiamo aperto il blog, non abbiamo mai commentato le scelte delle guide specializzate per una questione di stile. Collaborando prima per il Touring e poi dal primo anno con Slow Wine, è chiaro che ci sono altri modi per esprimere le proprie opinioni.
Ma stavolta non possiamo fare a meno di riprendere parzialmente una mail che sta girando tra i produttori irpini perché c’è un dato di fatto incredibile.
Tutti, ma proprio tutti, i Tre bicchieri sono state assegnati ad aziende che non fanno parte del Consorzio di Tutela dei Vini Irpini presieduto da Stefano Di Marzo che proprio la settimana scorsa ha ottenuto il riconoscimento ministeriale.
Facciamo i nostri complimenti a chi ha avuto I Tre bicchieri, ma non possiamo fare a meno di notare che dietro questo risultato c’è qualcosa di strano.
Moto strano
Nessuna delle aziende ha partecipato alla iniziativa del Consorzio a maggio e tutte avevano aderito a quello alternativo. Tutte.
Solo tre delle undici sono di recente rientrate (Feudi, Donnachiara e Di Marzo) ma dopo che le degustazioni erano ormai state fatte.
Come si spiega questa scelta di campo? Perché assumere un atteggiamento punitivo contro il Consorzio ufficialmente riconosciuto?
Ci sono altri meccanismi che noi non conosciamo che indirizzano i degustatori in modo così chiaro verso una politica di pulizia etnica a tutela di chi si è opposto al Consorzio?
Noi pensiamo che una guida, e un degustatore, pur nell’ambito del suo potere discrezionale si distingue per equilibrio, nella capacità cioé di rappresentare tutto il territorio e non solo una parte di esso a discapito degli altri. La guida, il degustatore, deve essere arbitro e non tifoso della Curva Sud.
E’ vero che in Irpinia la situazione è sempre stata complessa, ma quello che colpisce, appunto, è la scelta di campo netta, precisa. Noi nel corso di questo quarto di secolo abbiamo sempre cercato di rappresentare la realtà nel suo complesso rispondendo puntualmente ad ogni chiamata e nel caso dello scontro tra i due consorzi abbiamo dato spazio all’uno come all’altro.
Viene allora da chiedersi: cosa c’è nelle papille dei degustatori in grado di orientare politicamente prima che tecnicamente la scelta?
Eh si, ci pare questo un caso analogo a quello pugliese sollevato da Beniamino D’Agostino.
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