Lo zafferano abruzzese dell’Aquila: cooperativa Altopiano dei Navelli

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Altopiano di Navelli

Cooperativa Altopiano di Navelli
Viale Umberto I,7
Civitaretenga-L’Aquila
Tel. e Fax 0862 959163

di Gemma Russo

Un altopiano che s’estende da Barisciano a San Benedetto in Perillis, vasto, di natura carsica, posto a circa 700 metri sul livello del mare, attraversato dalla statale 17 dell’Appennino Abruzzese e Appulo Sannitica. Lungo questo, paesi ordinatamente arroccati su entrambi i lati. L’occhio velocemente e facilmente s’abitua a quella simmetria, estasiato dall’intatta bellezza della natura. Riconosce la capacità della mano dell’uomo nell’aver costruito lì dove è irto. Apprezza che questo l’abbia fatto rispettandone la natura. Ѐ critico, per questo, verso le rare aberrazioni che, venendo dall’Aquila, scorge nella prima metà dell’altopiano.

 

 

Cooperativa Altopiano di Navelli Viale Umberto I,7 Civitaretenga-L’Aquila Tel. e Fax 0862 959163

Lungo la statale, chiese che spuntano come funghi, nella piana assolata e ventosa, racchiusa tra i monti dell’Appennino abruzzese. Testimoniano ciò che resta di uno dei bracci iniziali del Tratturo. Raccontano storie di allevatori, di greggi e di un’economia rurale che fungeva da risorsa economica.

Questa area è famosa da sempre per il proprio zafferano, spezia antichissima, nata, secondo la mitologia greca, dall’amore provato da Crocus per la dolce ninfa Smilace, favorita del dio Ermes. L’ira di quest’ultimo trasforma il giovane in un bulbo, da cui, però, ogni anno sboccia un bellissimo fiore. Tracce della preziosa spezia si trovano nei papiri egizi del II secolo a.C. e nella letteratura greca e romana. Furono gli arabi a diffonderla nel Mediterraneo. Dalla Spagna, nella seconda metà del 1200, la coltivazione giunse nell’altopiano per ferma volontà del monaco domenicano Santucci.

Questo, originario di Navelli, intuì che lo zafferano potesse trovare in quella terra condizioni ottimali alla coltivazione. Ebbe ragione. Venne fuori un prodotto superiore a tutti gli altri presenti sul mercato, che in poco tempo ben si posizionò nel nord Europa, da Vienna a Dresda, da Venezia a Milano. Nei secoli, è sopravvissuto ad alterne vicende, fino alle due guerre mondiali. Ѐ sempre stata una coltivazione remunerativa. Per questo tutti gli abitanti dell’altopiano lo hanno sempre coltivato per poi venderlo ai commercianti. Era, insieme alla lana, una delle poche risorse . Creava quella ricchezza che, integrata da altre, riusciva a dare da vivere.

La storia dello zafferano di questa terra si intreccia con quella della Cooperativa Altopiano di Navelli e di Salvatore Sarra. A Civitaretenga, dove è la sede della cooperativa, incontriamo la signora Gina, sorella di Salvatore. Con lei, ripercorriamo la storia di un prodotto prezioso, che rischiava di non essere più coltivato perché il basso prezzo pagato ai produttori non remunerava in maniera giusta il duro lavoro manuale. Fu Salvatore a volere fortemente la nascita della cooperativa che da più di quarant’anni si occupa della tutela , della produzione e della valorizzazione dello zafferano Dop. Con quasi 100 soci, distribuiti nei 14 comuni dell’altopiano, produce il 95% della produzione nazionale di zafferano.

Ad agosto, i bulbi si mettono a dimora in un terreno opportunamente preparato da novembre dell’anno precedente. I fiori sono raccolti dal 10 ottobre in poi. Tutto è fatto rigorosamente a mano. La raccolta del fiore per facilità avviene alla mattina, prima che si schiuda. Questo sia per la caducità degli stimmi sia perché il sole toglie alla materia prima le sostanze volatili. Una volta a casa, si separa la parte edibile da quella che non è utilizzata. Disposti in setacci della farina, vengono tostati nel camino, alimentato con legno di mandorlo o quercia. Tale fase è determinante. Fatta a dovere, garantirà il prodotto finito per circa dieci anni.

La spezia ha determinato usi e costumi dei borghi lungo l’altopiano. “Era per noi come avere un lingotto d’oro”, racconta Gina, “Quando una ragazza si sposava e usciva dalla casa paterna per andare a formare un nuovo nucleo, nel corredo le si dava un cofanetto di legno, intarsiato, con le iniziali della sposa e la chiave. Doveva custodire lo zafferano dato in dote, avvolto da un panno di lana rossa. Era messo sotto il letto la prima notte di nozze perché afrodisiaco. Poi, al bisogno era venduto”.

 

Non era usato tanto dalla loro cucina tradizionale, questo perché si aveva l’esigenza di commercializzarlo. Era, però, utilizzato per scopi medici, come sedativo della tosse, analgesico per le gengive irritate dei bambini, abortivo e afrodisiaco.

La signora Gina lo prepara per gli ospiti del proprio agriturismo con la bieta e i ceci, un altro prodotto d’eccellenza di questo territorio nascosto e tutto da scoprire.

 

Foto di Gemma Russo


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