LSDM Milano: la vetrina degli artigiani del gusto da Pepe a Torrente

Pubblicato in: Eventi da raccontare
LSDM Milano, Barbara Guerra con Alfonso Pepe

di Luciana Squadrilli

Per la prima volta LSDM è arrivata a Milano, proprio nel cuore della città a due passi dal Duomo e dalla bella Galleria Vittorio Emanuele II. L’intenso pomeriggio dedicato alla grande tradizione gastronomica campana – e alla ristorazione di qualità senza confini che sa interpretare e sperimentare con la bufala senza remore e pregiudizi – è stato ospitato nello spazio dedicato agli eventi situato al piano superiore di Fresco&Cimmino, uno dei quattro indirizzi cittadini (più un quinto in arrivo) del gruppo che ha portato a Milano la pizza e la cucina napoletana e gli splendidi dolci del Gran Caffé Cimmino, caprese e pastiera in primis.

A fare da contorno alle lezioni di pasticceri, pizzaioli e chef c’erano sei mozzarelle campane “con nome e cognome”, aziende storiche sia dell’area salernitana che di quella casertana, che hanno portato a Milano i loro sapori e la sapienza dei casari, presenti in prima persona a far conoscere i prodotti: Raffaele Barlotti del caseificio pestano, Mimmo La Vecchia de Il Casolare, Mimmo Raimondo del Caseificio Mail, Silvia e Alberto Mandara dell’omonima azienda, Walter Della Valle de I Prati del Volturno e la famiglia Montella de La Tramontina. Insieme a loro, una nutrita rappresentanza del meglio del made in Italy alimentare: grandi vini – quelli di San Salvatore dal 1988 e Feudi di San Gregorio – e oli – dai pugliesi del Frantoio Muraglia a quelli toscani (e non solo) di Dievole, ma pure la selezione di Dop italiane italiane di Olitalia che ha presentato il nuovo Frienn messo a punto con Pasquale Torrente –, pomodori e conserve d’eccellenza – quelli de L’Orto di Lucullo con Corbarì e Agrigenus – , farine top – quelle del Molino Caputo – e la fantastica pasta di Gragnano del Pastificio dei Campi. Il tutto, accompagnato da Acqua Panna e Sanpellegrino, perché anche un’acqua minerale di qualità aiuta a gustare al meglio la grande cucina.

Alfonso Pepe, un campano alla conquista della terra del panettone

Il pomeriggio di LSDM a Milano parte con una piccola provocazione: non solo si comincia dal dolce, ma con un (grande) panettone campano, quello del maestro pasticcere Alfonso Pepe, tra i primi a scardinare il “monopolio” lombardo e nordico in genere su questo dolce. Nessuna rivalità, anzi un omaggio alla scuola lombarda da parte di chi – come molti meridionali – non amava il panettone perché ne conosceva solo le versioni industriali e ha imparato ad apprezzarne la grandezza grazie al lavoro dei migliori artigiani del Nord. Da quel momento Alfonso Pepe si è messo a studiare e a forza di prove e riprove, impasti buttati – perché «lavorare tanto per costruirsi un nome e rovinare tutto vendendo un prodotto non all’altezza sarebbe una sciocchezza» – e continui miglioramenti è arrivato a conquistare anche Milano, vincendo ogni anno premi e sbaragliando classifiche e dimostrando che la grande tradizione meridionale dei lievitati poteva avere qualcosa da insegnare anche ai maestri del Nord. Ne è la prova quanto raccontato da una signora milanese del pubblico, che lo ha portato in dono ad amici in tutto il mondo.

Quali sono i “segreti” del panettone di Pepe? Sicuramente l’attenzione alle materie prime e il rifiuto assoluto dei semi-lavorati – «All’inizio li ho usati ma quando mi facevano i complimenti pensavo: “ma io non ho fatto nulla” e non ero contento» – oltre a una grande dedizione, perché da quando ha deciso di dedicarsi alla lievitazione naturale non conosce più tempo libero e la sveglia suona all’alba. Ma lui dichiara di essere innamorato del lievito madre, e ha imparato anche ad amare – e a far amare ai suoi clienti – i canditi che lavora lui stesso utilizzando i frutti del suo fortunato territorio, in provincia di Salerno. Una parte degli stessi agrumi viene semi-candita, frullata e inserita nell’impasto, dando così una base aromatica irresistibile al panettone. Un prodotto ricco, opulento, golosissimo, che si differenzia da molti altri anche per la forma piuttosto bassa – comune anche alla tradizione milanese antica – che Alfonso preferisce per poter mantenere la morbidezza più a lungo: «Il panettone alto è bello a vedersi, ma ha bisogno di una farina forte per “sviluppare” tanto e crescere, a parità di peso.

Così si ottiene un’alveolatura importante ma si secca prima. Soprattutto al Sud, ormai c’è l’abitudine a mangiarlo fresco e morbido, mentre al Nord sono più abituati a un prodotto più asciutto: dopo un mese è ancora perfetto». Stanislao Porzio, creatore della rassegna Re Panettone che premia ogni anno i migliori prodotti nazionali, ha detto di Alfonso: «Ha reinventato il panettone tradizionale con i suoi ingredienti, rivivendolo attraverso il suo territorio e rielaborandolo con la sua intelligenza». E pure con la sua creatività, visto che non smette di sperimentare pure con un dolce così tradizionale: da quell con i corbarini canditi da sé, fino alla strepitosa pastiera a lievitazione naturale dove il ripieno classico del dolce campano viene inserito nell’impasto lievitato per creare un dolce soffice e delizioso.

Pasquale e Gaetano Torrente, elogio della frittura

Da Cetara a Milano, ma con la loro strepitosa e golosissima frittura (e non solo) Pasquale Torrente e il figlio Gaetano hanno già conquistato mezzo mondo, da Roma a Dubai passando per Erbusco.
Anche grazie a Pasquale – e alla sua geniale idea di puntare sulla frittura di qualità, ma pure su un nome più accantivante di friggitoria, aprendo la sua Cuopperia – il paese di pescatori che segna l’inizio della Costiera Amalfitana (una volta stava sotto al dominio saraceno che si contrapponeva alla vicina Repubblica Marinara), è diventato un piccolo ma importante distretto gastronomico, dove alici e colatura vanno a braccetto con una ristorazione verace ma di ottimo livello. «Stavo andando in Canada, mi sono fermato a Londra e ho voluto mangiare un fish&chips: pessimo e carissimo. Allora ho pensato “ma perché non riprendiamo noi l’abitudine del fritto?”, che non deve essere per forza untuoso e di bassa qualità». E così ha cominciato a sfornare i suoi cuoppi, dal cono di cartapaglia con cui si serve tradizionalmente il fritto.

Da quel momento, Pasquale non ha messo di studiare per ottenere il fritto migliore, gustoso e non unto. E pure sano visto che, se ben fatta, la frittura serve anche a mantenere intatte le proprietà nutrizionali degli alimenti, protetti dalla pastella. Da poco ha trovato un alleato in Olitalia, con cui ha messo a punto Frienn, un prodotto pensato apposta per fare una buona frittura nella ristorazione (ma a breve anche per casa): un olio di girasole altoleico addizionato con olio essenziale di rosmarino, un antiossidante naturale che aumenta la stabilità e la “tenuta” dell’olio da frittura, contro l’invasione dell’olio di palma. Il risultato è un fritto estremamente asciutto e non untuoso, come hanno dimostrato i due assaggi proposti a Milano: prima il supplì al telefono, che ha bisogno di due cotture per ottenere la perfetta “filatura” del formaggio che accompagna il ragù napoletano nel condimento, e una panatura croccante. Un dettaglio, quest’ultimo, che come spiega Pasquale cambia da città a città: a Roma piace più grossa, a Firenze più fina. Per dire che a lui, la filosofia glocal dei grandi fast food gli fa un baffo.

Poi arrivano le montanarine, bocconcini di pasta lievitata (ma c’é pure chi le fa in formato XL) condite a piacere, in questo caso con pomodoro San Marzano, formaggio grattugiato e foglia di basilico. Nulla scelto per caso: «Il pomodoro, con la sua acidità, serve a mangiare con più gusto la frittura, senza stufarsi».

L’assaggio conferma.

 

Foto di Luciana Squadrilli


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