Natale al Metrò di San Salvo: cinque grandi vini esteri con la cucina stellata di Nicola Fossaceca

Pubblicato in: I vini da non perdere

di Raffaele Mosca

Natale a tutta Francia e Germania nello stellato dei fratelli Fossaceca, all’estremo meridione della costa abruzzese. Siamo a cinquecento metri dal Molise, sul labile confine tra Centro Sud e Sud, ma quest’insegna ricorda le capitali nordeuropee con il suo design minimal chic, la mise en place ridotta all’essenziale, e una cucina votata alla sottrazione e alla leggerezza, che reinterpreta in maniera completamente inedita il connubio mare-terra tipico della zona.

Tutta Francia e Germania, dicevamo, perché al menù di Nicola, allievo prediletto di Niko Romito, Antonio, l’uomo di sala del duetto, ha pensato bene di abbinare le bottiglie estere più interessanti stappate nel corso dell’anno.

Ed è così che, ad accoglierci, troviamo il gessoso, balsamico Champagne Sagacitè di Alain Mercier, vigneron a Passy-sur-Marne, in abbinamento a un’apertura del percorso che, al netto di svariate visite negli ultimi anni e altrettante variazioni, rientra tra le mie preferite in assoluto : partenza “verde” con melone aromatizzato al San Pasquale, amaro prodotto ad Atessa (Chieti) che di solito viene servito a fine pasto come idraulico liquido; passaggio per la Costa dei Trabocchi con il bignè allo sgombro, per poi approdare nell’entroterra con la polenta all’aglio nero di Sulmona e un arancino ripieno di ventricina.

Si segue il tracciato della freschezza con un Riesling dal nome che pare uno scioglilingua: Eitelsbacher Karthauserhofberg Spatlese Trocken di Karthauserhof (Palatinato), millesimo 2013.

Sa di pere e mostarda di pere – oltre che di erbe officinali e idrocarburo – e va a completare un piatto in cui le pere giocano un ruolo fondamentale, bilanciando ed arricchendo la tartare di ricciola, mentre il kefir – liquido a base di latte fermentato tipico della parte asiatica dell’ex U.R.S.S – dà la spinta acida e rende il tutto più nordico.

Chiudo gli occhi, mando giù un sorso, e sono a San Pietroburgo, su di un ponte che attraversa il Neva e guarda il mar Baltico.

Si resta sul bianco per la seconda portata e si va indietro di altri nove anni: il Savennieres Clos du Papillon di Domaine des Baumard, 100% Chenin dal cuore della Loira, risale all’annata 2004.

Nel calice, però, appare subito in forma smagliante, ancora dorato e addirittura verdolino sui bordi. E’ marino e fumoso, abbastanza timido sulle prime, con qualche cenno di lanolina e cera d’api, un tocco di cotognata. Molto snello, ancora dritto, verticale, fa il suo dovere su di un piatto pienamente stagionale: mazzancolle alla brace, senape selvatica, zucca alla brace. L’immagine resa dall’accoppiata è quella delle tante colline che si attraversano percorrendo l’A14: distese di macchia imbrunita che digradano verso l’azzurro immenso del mare.

Stesso vino sul risotto, noci, cicale di mare e tè verde, che gioca di nuovo sul contrasto salmastro-vegetale-terragno. Poi, con “il piatto di natale”, tortelli di ripieni di Pecorino di Farindola in brodo di cappone con tartufo nero, si va in Borgogna per un Nuits Saint Georges di strabiliante finezza aromatica. Aux Saint-Juliens 2017 di De Montille proviene dalla parte del comune più vicina a Vosne-Romaneè, la mecca mondiale del Pinot Nero, e, in effetti, ha un naso in pieno stile Vosne su toni d’incenso e coriandolo, acqua di rose, gelatina di ribes e ginseng. Non ha la densità, la concentrazione di un Premier Cru o di un Grand Cru, ma la stratificazione di profuma è da fuoriclasse. Questa volta con l’abbinamento si fa un bel salto: dalle atmosferiche appenniniche del piatto ai ricordi di bazar mediorientale che prendono vita nel calice.

Sempre il Nuits sul rombo chiodato, bernese e alle acciuge e cardo alla brace, a dimostrare – semmai ce ne fosse bisogno – che rosso e pesce possono andare d’accordo, a patto che il rosso non sia troppo tannico e il pesce piuttosto saporito. Il cardo è un omaggio alla tradizione natalizia abruzzese: di solito lo si spezzetta nel brodo, qui invece dà la terza dimensione al rombo con il solito elemento vegetale rinfrescante e un tocco fumè.

Chiusura con il vino dolce par excellence: Chateau Lamothe Guignard 2001, deuxieme Cru classè di Sauternes da un’annata giudicata eccellente da Wine Spectator. Il colore vira sull’aranciato, ma il naso è ancora giovanissimo: s’intuisce appena qualche traccia tostata ed eterea sotto la coltre di zafferano e arancia candita. Nel 2001 non c’era ancora la moda della freschezza e della leggerezza a tutti i costi, ma sembra che da Lamothe Guignard abbiano precorso i tempi. Il vino è dinamico, scorrevole, moderatamente zuccherino. Ripulisce la bocca da un cremoso al mandarino con meringa e yogurt che gioca a sua volta sull’equilibrio tra dolcezza e acidità ben in lizza.

Conclusioni

Per una volta, mi sembra giusto fare i complimenti al maitre sommelier ancor prima che allo chef. Si, perché, per 60 euro a cranio – con rabbocco gratuito – Antonio ci ha fatto fare un bellissimo viaggio tra vini esteri di nicchia, giovani e vecchi, che mantengono un prezzo relativamente onesto, ma potrebbero giocarsela con i campioni delle rispettive categorie.

Quanto al cibo, non c’è molto da aggiungere: Nicola Fossaceca sta alla costa abruzzese come Arcangelo Tinari di Villa Maiella sta all’entroterra pedemontano. La sua è una cucina pulita, “romitiana” nella linearità estetica, nella rinuncia a qualunque barocchismo, e fedele al territorio nei cortocircuiti tra mare, orto, bosco e frutteto, che la rendono adatta ad ogni periodo dell’anno… compreso quello natalizio!

 


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