Nozze d’oro Regaleali in magnum, il forato tema di questa estate. Una etichetta che nasce esattamente 35 anni fa in una precisa fase storica, a ridosso della crisi del metanolo quando i pionieri della viticoltura al Sud iniziarono ad abbinare vitigni autoctoni a vitigni internazionali. Erano un po’ sperimentale, nel senso che le uve più diffuse avevano studi, ricerche e protocolli ben precisi, bastava applicarli adattandoli alle condizioni pedoclimatiche. In questo caso, alla luminosità del Sud, ai 500 metri dell’Inzolia e ai 700 metri del Sauvignon, una spalliera che guarda a Sud Ovest secondo i crismi della viticoltura del freddo che oggi sicuramente andrebbero ripensati.
L’elevamente in bottiglie grandi è la condizione ideale per i vini, e la Regaleali ci ha sempre regalato grandi classici che nelle degustazioni coperte regalano grandi risultati anche se ne piccolo mondo antico dei neopauperisti italiani non fanno figo. Eppure parliamo di una delle più importanti aziende italiane, e dunque del mondo. Ma forse proprio per questo. Viviamo in un Paese bello ma molto strano e soprattutto molto provinciale dagli anni ’80 in poi.
Un vino tra l’altro in ottimo rapporto tra qualità e prezzo, su internet oscilla dai 14 ai 17 euro.
Conoscendo bene l’azienda, non avevamo dubbi sul risultato di questa magnum 2013, certamente curiosi di capirne l’evoluzione e in che misura il sauvignon avrebbe cannibalizzato l’inzolia.
Tappo perfetto e naso davvero molto interessante, un esperto avrebbe sicuramente scovato il Sauvignon perché è inconfondibile, ma qui dobbiamo dire che, se possibile, ha trovato il modo di presetarsi in modo più complesso dal punto di vista olfattivo: al bando il piscio di gatto di cui purtroppo sempre si parla, nel bicchiere abbiamo avuto una esplosione floreale di ginestra, di rosmarino, timo e, più in generale, di macchia mediterranea, buona frutta bianca ben evoluta come la mela e infine piacevoli note iodate e salmastre. Un vino con la sua personalità ben precisa, complessa, in continua evoluzione. Al palato pieno, lungo, persistente, con il ritorno dei sentori fruttati, abbastanza morbido, in buon equilibrio di alcol e di freschezza, assolutamente dentro il sorso e non scissa. Insomma, un bianco davvero interessante, speso, inutile dirlo, su crudi di mare, paste molto ben eseguite al Veliero di Acciaroli, uno dei locali di qualità assoluta sulla costa cilentana.
Un grande bianco del Sud, insomma. Un segmento su cui la Sicilia ha molto da dire non solo sull’Etna, qualunque sia la sua interpretazione.
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