Pallagrello bianco 2001 Terre del Volturno igt

Pubblicato in: Caserta

VESTINI CAMPAGNANO

Uva: pallagrello bianco
Fascia di prezzo: non in commercio
Fermentazione e maturazione: acciaio

La prima volta che vidi questa bottiglia stavo prendendo l’aliscafo per Ischia a Mergellina. Già, proprio così: non stavo salendo in ascensore o prendendo il pullman, e neppure molto banalmente il treno, ma ero in partenza per un giro vitivinicolo nell’Isola Verde. Manuela me la portò al volo sul pontile come fosse un testimone di staffetta, c’era dentro la scommessa della sua vita, i rossi manco erano ancora usciti in commercio, e io imparai l’esistenza di un’uva che si chiamava pallagrello bianco nella patria del Biancolella: mi colpì l’esecuzione perfetta, quell’acidità contenuta, discreta, quasi come una persona che resta sull’uscio della porta di casa per non disturbare. Ieri abbiamo tirato, ancora con Manuela al Veritas, le cuoia ad una delle ulime otto versioni della 2001 e ve ne parlo per smentire la credenza popolare alla quale anche io ho contribuito secondo la quale il Pallagrello bianco non ha possibiltà di essere longevo. Ma prima dobbiamo inquadrare storicamente la situazione per coloro che non sono dentro le cose campane: in quell’anno, splendido per tutti i bianchi come ha dimostrato di recente la Falanghina di Libero Rillo, Manuela Piancastelli e Peppe Mancini erano ancora dentro l’azienda Vestini Campagnano che avevano contribuito a fondare, l’enologo era Luigi Moio e quella è stata la sua prima vendemmia piena perché da pochi mesi aveva preso il posto di Angelo Pizzi. Si stava insomma formando la formidabile squadra che avrebbe cambiato il volto enologico di una zona della Campania, il Caiatino, sino a quel momento conosciuta soprattutto per le sue olive. Le vicende successive hanno portato i nostri tre amici a lasciare questa azienda e, nel 2003, a fondare Terre del Principe mentre la Vestini è rimasta di proprietà dell’avvocato Amedeo Barletta, socio di Peppe, il cui enologo adesso è Paolo Caciorgna. Il Pallagrello bianco in questione è dunque il primo pensato da Moio, parlo del base e non di quello passato in legno che si chiamava, e si chiama ancora, Le Ortole. Dunque due notizie interessanti per il nostro archivio mnemonico: da un lato la longevità del vitigno vinificato e creato per essere invece bevuto subito, dall’altro la conferma della straordinarietà del millesimo 2001 per i bianchi. Ieri il Pallagrello Bianco aveva infatti un filo di buona ossidazione al naso e poi tanti sentori dolci come di foglie di camomilla secche,  un po’ di zafferano, pesche sciroppate, lampi di agrumato, in bocca invece si è comportato in maniera diversa dagli altri bianchi provati a questa distanza di tempo perché l’acidità era presente ma non sostenuta, insomma portava sulle spalle la struttura per nulla scarnificata del vino, del resto sostenuta bene anche dall’alcol che in queste circostanze svolge un ruolo primario. Non era, questo voglio dire, quella freschezza preponderante e assoluta che resta nei bianchi irpini provati sulla lunga distanza, ma una componente importante di un vino equilibrato e, cosa ancora più importante, in buona corrispondenza fra l’olfatto e la bocca. Questo esprimento, gioiosamente compiuto su una carbonara con asparagi fritti e un pacchero con carciofi e baccalà preparati dal fratello di Manuela, Maurizio, chef al Veritas di Corso Vittorio Emanuiele, ci ha insomma convinti della possibilità di ragionare sui tempi lunghi anche per questi bianchi e non, come invece si è sempre pensato, solo per Fiano, Greco e Falanghina Beneventana. La verità, si osservava, è che di queste uve si conosce ancora poco, la prima vendemmia è stata del 1997, e solo lavorando sui sistemi di allevamento, si è passati al cordone speronato per avere più acidità, e giocando sui tempi di vendemmia, anche due analisi al giorno, è possibile ottenere il massimo dall’uva. Una speranza ben riposta, perché Manuela ama molto i bianchi come me e dopo essersi tolta la voglia di fare un rosso stile ipermuscoloso al quale ha dato il suo nome, spero adesso sia la volta di un progetto di lungo periodo con un bianco. Vedremo, intanto vi consegno questa gioia. Serbatela.

Caro Luciano,
ho letto il tuo pezzo sulla 2001 e anche il duetto con Farina. Grazie. Sì, devo dire che la degustazione di ieri sera ha davvero meravigliato positivamente anche me. Non era per niente un vino esausto e questo mi conferma nel fatto che il pallagrello ha davvero una marcia in più e che si esprime nel tempo (ora bisogna rendersi conto del range) meglio di tante altre uve. Il prossimo passo sarà capire quanto l’apporto del legno possa aiutarlo in questa longevità o quanto bisognerà ancora meglio aiutarlo in vigna a costruire le basi per una vita lunga. Sui rossi non c’è mai stato dubbio che potessero reggere molto bene alla prova del tempo: tannini, struttura, acidità, le componenti ci sono tutte. Ma il bianco lo pensavamo delicato, soprattutto le prime annate durante le quali si teneva più in conto la maturazione zuccherina che l’acidità.

Manuela

 



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