Parigi, Le Cinq. Ossia come si passa da Due a Tre Stelle Michelin cambiando cuoco

Pubblicato in: Parigi
Le Cinq, il menu

Le Cinq a Parigi
Avenue George V, 31
Tel. (0)149527000
www.fourseasons.com
Aperto dalle 12:30 alle 14:30 e dalle 19:00 alle 22:30

Il tema di questo pranzo è molto semplice: Christian Le Squer ha sostituito Eric Bliffard e ha portato finalmente, appena un mesetto fa, le Tre Stelle Michelin a Le Cinq in questo albergo sfarzoso in cui il lusso si esibisce sin nei minimi dettagli delle decorazioni della hall. Conoscevamo la cucina di Bliffard e sinceramente eravamo incuriositi da quale potesse essere la marcia in più. In poche parole, come si è passati da due a tre stelle?

Non pensiate che abbiamo trovato una risposta certa, anche se gli indizi non mancano e li riassumiamo subito: dimenticare il classico senza tentarci di dare una semplice riverniciata (dunque no alla tartare di tonno con caviale, gelatina di mela verde e wasabi), ricerca di toni più freschi e amari in ogni piatto, strizzata d’occhio convinta e non di facciata ai sapori fondanti di alcune culture gastronomiche solide e soprattutto capaci di trovare persone propense a spendere. Emblematico il piatto di agnello con il cous cous che rende museale (benché buonissima) la lepre con salsa di mele cotogne confit e scalogno di Bliffard. Infine deciso alleggerimento materico in ogni portata.

La cornice è comunque quella di sempre: una confortevole tavola borghese dove passeresti, potendo, ogni pranzo domenicale. Un servizio attento, veloce, molto ben coordinato, un sommelier che ti consiglia l’annata dopo che hai scelto il vino e non punta necessariamente a farti spendere di più. Una sala bellissima.

 

 

 

A Le Cinq a Parigi comunque si parte al piccolo trotto e tra pani, piramide di burro salato e sfizietti vari dai quali bisogna stare alla larga per non farsi piegare subito, non ti accorgi di cosa sia realmente cambiato

Ci colpisce il babà rustico che è la fotocopia del casatiello napoletano. Davvero l’influenza francese vive a Napoli non solo nelle tradizioni delle classi aristocratiche, ma anche nei cibi popolari e quotidiani a cui tutti hanno accesso.

 

Gli amouse bouche sono divertenti, ma ancora non ci fanno capire cosa è cambiato in cucina. Oddio, forse l’accostamento dei piselli con l’acidità della frutta e dello yougurt è già un piccolo cambio di passo.

La prima portata è invece sconvolgente: certo Valerio Massimo Visintin troverebbe da ridire al fatto che sono stati tolti gli aculei al riccio, ma l’effetto è davvero potente. Il cavolfiore è un abbinamento classico qui in Francia con le note di mare intense, ma in genere è in forma di crema. Qui la spuma non assorbe l’effetto del riccio al palato, ma lo prepara in un crescendo incredibile e infinito.
Un piatto servito freddo ma che riscalda il cuore. Ne vorresti subito tanti altri perché ha anche avuto la capacità di fare salivare il palato e il 1995 di Joly diventa acqua a confronto.

 

Il secondo colpo da maestro la cipolla gratinata. Ciascuna è in realtà trasformata in un bon bon ripieno di liquido che esplode nel palato. C’è tanta tecnica a supporto di una idea divertente che richiama al classico ma che non dimentica le mode del momento con l’allungo dovuto al sapore di bruciato. Un bruciato che però non è amaro. Anche in questo caso il palato napoletano ci si ritrova pensando alla genovese.

Terzo piatto terzo colpo: la triglia la cui pelle è trasformata in una chips nella quale è concentrato il sapore: si parte dalla croccantezza per arrivare alla carne del pesce cotta alla perfezione, il tutto sostenuto da una infinita acidità della salsa e della marmellata di agrume.

Dell’agnello abbiamo detto: siamo ben lontani dai classici fondi bruni che in genere accompagnano la carne di questo animale. In più l’idea della salsiccia di animelle regala un piatto mediterraneo completo e comunque fresco.

L’unica delusione è venuto dal piatto di quaglia in cui la ricerca dell’acidità diventa eccessiva e sproporzionata rispetto alla consistenza della carne.

Vabbè, poi si atterra sul solito, si fa per dire, carrello di formaggi.

 

Mentre i dolci sono molto centrati sulla materia, compresa la banana, nella quale non mancano i richiami al gusto caraibico.

 

 

 

Il finale si allunga con piccola pasticceria, cioccolati e queste sfoglie purissime e fragili come una statua di sale.

 

CONCLUSIONI
Le Cinq a Parigi
resta un luogo di lusso, ma la cucina non è affatto rilassata. Ogni piatto è in continuo movimento nel palato, vuoi per sapienza tecnica precisa e compiuta, vuoi per l’uso della materia, vuoi per il progetto che c’è dietro ad ogni proposta.
Il cuoco bretone è di esperienza e mano ferma: a lui Pavillon Ledoyen deve tanto. La sua carriera è sicuramente ancora in ascesa e credo abbia tanto da dire nei prossimi anni.
Per gli amanti del vino dico che è una carta monumentale dove si trova di tutto con numerose etichette in profondità.
Mangiare qui costa 175 euro quattro portate, 210 sei. Sui 250/300 alla carta.
Ma quando uscirete da qui non penserete a quello che avete speso, bensì alla esperienza di uno dei top restaurants del mondo. E’ un investimento per la vostra cultura gastronomica oltre che un piacere infinito.
Le Cinq a Parigi non si dimentica facilmente.

 


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