Pastificio Martino: la buona pasta da sapienti mani di giovani donne

Pubblicato in: I miei prodotti preferiti

di Pasquale Carlo

Si, è vero, all’esterno il ‘Pastificio Martino’ sembra un piccolo laboratorio di pasta fresca come se ne vedono tanti. Soprattutto su strade particolarmente floride dal punto di vista commerciale, come è, appunto, la strada che attraversa Alife, l’antica Alliphae, per cui passava uno dei rami più importanti della Via Latina.

Appena entrati, però, si resta subito colpiti da alcuni particolari che raccontano bene la filosofia di chi lo gestisce. Si respira familiarità, passione, cura dei dettagli.  Per questo non si resta affatto meravigliati nel conoscere che la titolare è una donna. Questo il primo segreto di questa attività: Loredana Martino è una giovane donna, molto tenace, che mette passione in tutto quello che fa. Ed è una donna consapevole di fare un lavoro che le piace. Per questo è una donna felice, perché, come diceva Confucio, se scegli il lavoro che ami non lavorerai neppure un giorno in tutta la tua vita. È lei ad aprici le porte del piccolo laboratorio, sul retro del locale dove si accoglie calorosamente la clientela. Appena entrati comprendiamo il secondo, più grande segreto, del pastificio. A lavorare sono solo mani di donne. Mani che, con l’aiuto della giusta innovazione, riescono a tramandarci un sapere-sapore antico, quello della buona pasta fresca.

La storia della pasta è un percorso millenario e complesso da raccontare. Tralasciando oltre un millennio, per descrivere il lavoro quotidiano di Loredana e delle donne del ‘Pastificio Martino’ partiamo dal XV secolo, quando la lagana (pasta fresca e sfoglia di matrice romana) e la tria (pasta lunga e secca di origine araba) iniziano ad essere considerate come un’unica categoria alimentare, quella, appunto, della pasta. Un cibo che solo nel Seicento iniziò ad essere più accessibile per diventare, in breve tempo, un alimento “sfama popolo”. Tre secoli dopo, il grande Pellegrino Artusi (‘La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene’, ) “nazionalizza” la pasta come l’alimento più amato dagli italiani, declinandone le varianti regionali. Al Nord, come piatto delle feste, si affermerà la pasta fresca e ripiena, a base di farina di grano tenero e uova; il Centro si distinse soprattutto per la pasta fresca fatta in casa, con farina di grano tenero mischiata con altri tipi di farina (soprattutto castagne); al Sud si iniziò a prediligere sempre più la pasta secca comprata, con la preparazione in casa dedicata solo alla pasta preparata con farina di grano duro e acqua (senza uova).

Le cose buone preparate al ‘Pastificio Martino’ vanno da Nord a Sud. Partiamo dal Nord: ampia e variegata la proposta di pasta fresca, ripiena con prodotti protagonisti tipici del territorio e protagonisti della cucina partenopea: carciofi e grottone (formaggio a pasta filata prodotto dal caseificio Iaquilat di San Salvatore Telesino, ottenuto con latte di vacche alimentate senza uso di insilati e proveniente da allevamenti selezionati all’interno del Parco Regionale del Matese), stracciatella di mozzarella e basilico. Abbiamo poi avuto la fortuna di degustare, in uno dei locali che si servono dei prodotti del pastificio alifano, la pasta con ripieno di patate e baccalà (condita con semplice sugo di pomodoro) e quella con ripieno di provola e melanzana (con sugo ai tre pomodorini).

Passiamo al Centro, con le tagliatelle preparate con farine diverse. In questo caso, visto il periodo, la scelta è andata sulle tagliatelle preparate con farina di castagne e condite con sugo ai porcini del Matese. Infine la pasta fresca senza uova, con i fusilli accompagnati da vongole e porcini.

Si potrebbe continuare a lungo con questo ricco e saporito racconto. Quello che invece non si può tralasciare è rimarcare l’euforia che regna nel laboratorio. Atmosfera che si coglie con pienezza dalle parole delle stesse protagoniste, scritte sulla pagina Facebook in occasione dell’ultima ricorrenza della Festa delle Donne: «Dateci modo di poter fare… perché se a una donna si danno i mezzi per poter fare,  grandi saranno i suoi progetti ed ambiziosi i suoi sogni. Noi donne del Pastificio Martino vogliamo essere la dimostrazione che in un ambiente di lavoro tutto al femminile ciò che prevale è il rispetto, l’una per l’altra…». Seguono l firme: Loredana, Fortuna, Rosa, Lidia e Michela, con l’augurio rivolte a tutte le donne di vivere «la libertà di essere se stesse».

Cibo e donna è un argomento che merita un’attenzione profonda. Secondo la Fao, le donne producono tra il 60 e l’80% del cibo nella maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, circa la metà della produzione alimentare mondiale. Tutto questo, dovendo quotidianamente lottare per superare grandi difficoltà (maggiori rispetto agli uomini) in termini di accesso al credito (e anche alla terra) e, se vogliamo, a tutti quei fattori che migliorano la produttività. In questo scenario la bella parabola di Loredana e delle sue amiche merita una lode.

 

Ascoltando Loredana, la mente corre ad una donna che tanto ha fatto per l’affermazione della cucina italiana e di cui non molti conoscono la storia. Siamo agli inizi del Novecento. Delia Pavoni, dopo la morte del suo primo marito, diventa proprietaria dello stabilimento termale di Salsomaggiore e convola a nuove nozze con il giornalista e scrittore Umberto Notari. È lei a spronarlo, nel periodo tra le due guerre mondiali, a dare vita alla rivista ‘La Cucina Italiana’, che vide la luce il 15 dicembre 1929. Il mensile ospitò fin da subito firme di prestigiosi esponenti della cultura (Giovanni Pascoli, Grazia Deledda, Ada Negri, Filippo Tommaso Marinetti).

La rivista diventò in poco tempo un punto di riferimento, tanto che anche personalità della politica fascista iniziarono ad inviare al giornale i loro piatti preferiti, perché «la sapienza gastronomica non sdegna di congiungersi né alla austerità degli studi, né alla gravità delle funzioni, né alla grandezza dell’ingegno». Tuttavia, le vere protagoniste del progetto editoriale erano le donne, a cui erano rivolte diverse rubriche fisse, scritte quasi sempre da donne. Tra queste spiccava ‘La rubrica della massaia moderna’, firmata dalla stessa Delia Pavoni Notari, in cui si insegnava che la cucina, nella vita delle donne, deve avere la stessa importanza del salotto e del guardaroba, mettendo in guardia quelle donne che per che per «inspiegabile snobismo s’è allontanata quasi completamente dalla cucina» (monito più che mai attuale).

Questa rivista interromperà le pubblicazioni nel 1943, tornando in edicola solo nel 1952, raccontando da allora il percorso compiuto dalla nostra cucina, fino a lavorare (a partire dal 2020), per la candidatura della nostra cucina a Patrimonio immateriale dell’Umanità dell’Unesco.

Le paste di Loredana sembrano seguire l’insegnamento lanciato in tutti questi decenni. In particolare dal boom economico in poi, che per gli italiani ha significato l’inizio di un fortissimo cambiamento dal punto di vista delle abitudini alimentari (fenomeno giunto con diverso ritardo nelle zone dell’entroterra appenninico). Allora, dopo anni di dure privazioni, arrivano molte novità in cucina che porteranno tante sfumature al piatto nazionale “pasta”. Arrivano le colorazioni per le tagliatelle fatte in casa, in particolare con salsa di pomodoro e gli spinaci, per ottenere così un piatto veramente tricolore. Concetto che Loredana riprende anche con i simpatici gnocchetti.

Più tardi, negli anni Settanta, si fa largo la Nouvelle Cuisine, che cerca di conferire alle preparazioni di pasta finezza ed eleganza. Si arriva a strafare. Loredana, prendendo spunto da quello che di buono (poco) era arrivato, ce lo ricorda con le tagliatelle al limone e pepe.

Infine, l’arrivo del microonde in  ogni casa italiana, con la parola d’ordine che diventa “fretta”.  Una rivoluzione che ha interessato tutte le età ma che, in particolare tra i giovani (non solo donne), è diventata travolgente,  facendo maturare tra i più giovani la triste consapevolezza di non poter cucinare perché non in possesso del sapere culinario delle generazioni passate. In verità, soprattutto perché si preferisce usare il tempo libero per fare altre cose. E Loredana ha pensato anche a questo, offrendo con il suo laboratorio una ricca selezione di preparazioni da dover solo cuocere a casa.

Questa la filosofia che Loredana ha impartito alle sue collaboratrici. A loro ha fatto ben comprendere che preparare buon cibo non è solo questione di tradizione, di cultura, ma anche segno di creatività e, soprattutto, amore. In un’unica parla significa prendersi cura. Prima di tutto di se stesse.

Per noi, che abbiamo conosciuto il lavoro di Loredana, il suo tempio sara d’ora in poi un punto di riferimento dove recarci prima di sedere a tavola e mangiare cose buone. Sedere a tavola senza fretta, ricordandoci di un passo di un sonetto del mitico Aldo Fabrizi, uno che di cibo se ne intendeva: «Na vorta er pranzo somijava a un rito, t’accommodavi pracido e beato, aprivi la sarvietta de bucato… un grazie a Cristo e poi… bon appetito!».

(foto: pagina Facebook del pastificio)

Pastificio Martino – Viale Caduti sul Lavoro – Alife (Caserta) – Tel. 0823.787012


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