di Marco Contursi
Troppi a mettersi in auto per andare al mare il sabato, troppi ad andare al pronto soccorso (Cardarelli 250 accessi in 1 giorno, di cui molti codici bianchi o verdi), troppi a seguire certi tiktoker squallidi, troppi a gettare la carta del finestrino.
Ed uno dei settori dove è palese che il troppo stroppia mostra i suoi effetti più nefasti è proprio quello del food:
- Troppi locali aperti. Basta vedere quante pizzerie si sono aperte negli ultimi 10 anni per capirlo. Idem i ristoranti. Prima c’ erano quelli storici, sempre pieni e che davano lavoro a un buon numero di persone. Poi, a partire dai dipendenti di questi locali, molti si sono voluti trasformare a loro volta in imprenditori, col risultato che oggi ci sono un altro po’ più ristoranti e pizzerie che clienti e la torta si è divisa fra troppi e la conseguenza che lavorano molto meno di quanto serva loro per stare aperti regolarmente e quindi, si iniziano a non pagare i fornitori, le tasse, magari i dipendenti, tirando a campare ancora qualche anno prima della inevitabile chiusura. Ricordo quello che disse ad un giovane chef, la titolare del ristorante in cui lavorava (3 stelle tra i più famosi d’Italia), dopo che le aveva confidato di volersi licenziare per aprire un locale suo:” Tu sai cucinare ma per aprire un locale non basta, devi essere imprenditore, saper far quadrare i conti, avere a che fare con Stato, dipendenti e fornitori. E con i clienti. Occhio che non è una passeggiata, roba da stare svegli la notte..”.
Ecco, questo dovrebbero valutarlo molti prima di aprire un locale. Il troppo stroppia.
- Troppi a produrre vino. Lo confesso, queste mie riflessioni sul troppo nascono dopo che in un ristorante mi è stato servito l’ennesimo vino bianco senza senso di una cantina mai sentita di una delle zone campane più vitate. Bottiglia che uscirà a 3-4 euro dalla cantina, quelle che i ristoranti di fascia medio-bassa offrono ai loro clienti a 10-12 euro, marginalizzando comunque qualcosa. Un altro ristoratore mi diceva che proprio non riesce a vendere il vino di un amico perché non piace a nessuno. Dal fallimento di cantine sociali sono usciti decine di nuovi produttori, spesso, con vini molto modesti che invadono il mercato a prezzi irrisori, perché c’è molto deposito da smaltire. Ma non sarebbe meglio che facesse il vino solo chi lo sa fare bene? Magari conferendo i piccoli produttori (non di numero di bottiglie ma di qualità) le uve a chi lo sa fare e pagando questi ultimi il giusto prezzo? Eh no, meglio pagarle nulla ed essere invasi da decine di concorrenti, che anche qui creano confusione nel mercato e insoddisfazione nei clienti quando gli arriva a tavola una di queste bottiglie da pochi spicci e pochissimi profumi. Il troppo stroppia.
- Troppi a scrivere di cibo. Quando iniziai 20 anni fa, ad appassionarmi al food, in Campania dell’argomento vino e ristoranti scrivevano 4 giornalisti professionisti di alta caratura professionale, prima ancora che competenti davvero sulla materia in questione, Luciano Pignataro, Santa di Salvo sul Mattino, Antonio Fiore e Gimmo Cuomo sul Corriere del Mezzogiorno. Era un piacere leggerli, prima per la forma e poi per il contenuto di quei loro racconti di pranzi e di vini. Oggi è un fiorire di giornalisti, blogger, gente che fa altri mestieri e scrive, alimentando un caos assurdo. Leggevo proprio ieri la prima recensione di uno, appena arrivato, che nella vita fa tutt’altro, ma che trovando ospitalità nell’ennesimo blog a tema food, scrive di pranzi e cene. Una recensione scritta male, con linguaggio criptico per dare prova di uno stile forbito, dove racconta tutto (architettura del locale, descrizione della città in cui si trova, fattarielli vari), tranne quello che ha mangiato, di cui si limita a mettere le foto. Ovviamente senza uno straccio di prezzo. Una recensione così, serve solo ad alimentare l’ego di chi la scrive e riempire uno spazio a chi lo ospita sul suo blog. A me cliente, non serve ad una cippa. Come non serve una cippa che scrivano di cibo chi non ha le competenze per farlo, perché come nel caso del vino cattivo, il cliente poi prende le fregature. Il troppo stroppia.
- Troppi a condurre lezioni sul vino. Si avvicina settembre ed è un fiorire di corsi, degustazioni guidate, serate di approccio al vino, fatte da chi non ha titoli nè esperienza per parlarne. Gente che si fanno 1 livello o due da sommelier e iniziano a insegnare. Ma che insegni???? Per fare una serata a bere un calice, con due chiacchiere simil-tecniche va bene pure un sommelier di esperienza, ma dove c’è una lezione vera a propria, serve altro, serve chi ha fatto dei master per diventare docente. Gente che del vino sanno davvero vita morte e miracoli e non solo nozioni buone per stupire un neofita. Fortunatamente in altri campi come quello del formaggio, olio e salumi la cosa è meno evidente, ma solo perché non è figo farli, come fare un corso sul vino e poi girare il calice a tavola, fingendosi esperti. Il troppo stroppia.
- Troppo (pochi) a fare salumi di qualità, soprattutto di suino di razza casertana. Qui il troppo è relativo al troppo poco. In Campania di salumi di qualità ce ne sono pochi, perché i pochi produttori a farli, ne fanno pure pochi. Non c’è nel settore, una mentalità imprenditoriale, tranne in sparutissimi casi, ma siamo di fronte ad artigiani che non si vogliono mettere a terra un po’ di prodotto per paura di non venderlo, o per non farsi aiutare nel lavoro. Così capita che un ristoratore conosciuto mi chieda di indicargli fornitori meno conosciuti di salumi di questa pregiata razza ma ho poco o nulla da consigliargli. Perché parliamo di attività che oggi hanno due pancette ma fra un mese nessuna, e non ne avranno per altri 6 mesi. Il troppo (poco) stroppia.
p.s. Che nel 2025 ci siano blog di food che permettano ai loro collaboratori di far uscire segnalazioni di locali omettendo il prezzo è una cosa inaccettabile. Non so più come dirlo. Ma lo fanno ancora tutti. TUTTI.
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