L’eterno derby sulla pizza napoletana. Meglio la mozzarella di bufala o il fiordilatte?

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Pizzeria La Spiripizza La Margherita

Pizzeria La Spiripizza La Margherita

Il terzo alimento fondante della pizza è il latticino.
Contrariamente a quanto si pensa oggi, sino alla fine degli anni’80 si usava soprattutto il fiordilatte della vicina Agerola perché la mozzarella era residuale nei consumi a Napoli città. Non a caso in alcune pizzerie che cominciarono ad usarla chiamavano la pizza “bufalina” inserendoci un sovrapprezzo. Quando fu scritto il regolamento Stg, la mozzarella fu inserita lo stesso, come pure l’olio d’oliva, anche se in molte pizzerie di usava l’olio di semi. Questo perché i latticini usati, come il pomodoro e come l’olio di semi, erano comprati dalle pizzerie all’insegna del risparmio sulla materia prima.
La cavalcata trionfale della mozzarella è andata di pari passo con il successo della pizza napoletana. A partire dagli anni ’90 la crescita del comparto ha segnato due cifre raggiungendo i 600 milioni di euro di fatturato solo per le aziende del Consorzio, un cifra che presumibilmente può essere raddoppiata senza forzature considerando la mozzarella non dop. A quell’epoca molti producevano, dichiarandolo, un latticino usando sia latte vaccino che di bufala. Con il senno di poi, possiamo senz’altro dire che l’istituzione della dop ha migliorato la qualità del prodotto vincendo ogni resistenza da parte di chi puntava ad un business di corto respiro e immediato. Per la verità oltre al latticino i vecchi pizzaioli aggiungevano sempre una spolverata di parmigiano reggiano come esaltatore di sapore.

Con il passare degli anni ’90 la mozzarella di bufala prende decisamente il sopravvento e oggi in qualsiasi pizzeria se non specificate che volete il fiordilatte avrete una margherita con la bufala, cosa molto rara appena trent’anni fa. In effetti, essendo la bufala più grassa, reagisce meglio nella cottura e soprattutto si rapprende molto più lentamente del fiordilatte. Negli ultimi dieci anni è nettamente aumentata la quantità di latticino sulla pizza, prima erano solo macchie bianche sul pomodoro, adesso tende a coprirlo quasi ovunque sul disco e solo pochi riescono a dosarlo bene. E’ stata forse questa la più forte spinta alla omologazione del gusto che sempre vede i formaggi coprenti e protagonisti.

Il termine “mozzarella” deriva dal verbo “mozzare, ovvero, l’operazione praticata ancora oggi in tutti i caseifici, che consiste nel maneggiare con le mani e con moto caratteristico il pezzo di cagliata filata e di staccare subito dopo con gli indici ed i pollici le singole mozzarelle nella loro forma più tipica, quella tondeggiante. La forma tradizionale è quella sferica, ma il Disciplinare di Produzione ammette anche bocconcini, ciliegine, perline, nodini e ovoline, di pezzatura compresa fra dieci e ottocento grammi, in relazione alla forma. Quando è presentata a forma di treccia, il suo peso può arrivare fino a tre chilogrammi.
L’area in cui è possibile produrre la mozzarella di bufala campana dop comprende nove province del Mezzogiorno, fra le quali quelle di Caserta e di Salerno rappresentano i territori di maggior produzione. Il Consorzio di Tutela, nato nel 1981, è l’unico organismo riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali a svolgere le funzioni di tutela, vigilanza, valorizzazione e promozione di questo prodotto, che rappresenta una delle prime cinque denominazioni geografiche italiane (Dop), è tra i primi in Italia, di gran lunga la più importante del Centro-Sud.

Il fiordilatte proviene da Agerola, ma anche da Montella in Irpinia e dal Vallo di Diano al confine tra il Salernitano e la Basilicata. Si tratta di un formaggio fresco a pasta filata, frutto di un’antica cultura e tradizione, prodotto con latte.
Per produrre il fiordilatte di Agerola, l’unico che si fregia della dop si è sempre utilizzato latte vaccino che viene consegnato crudo al caseificio entro ventiquattro ore dalla prima mungitura. La lavorazione è quella comunemente utilizzata per la mozzarella vaccina, dalla quale si discosta per forma e consistenza della pasta.
Il processo di acidificazione, durante il quale la cagliata si arricchisce di quei fermenti indispensabili per lo sviluppo del sapore del prodotto finale, avviene in modo naturale e dura ben dodici ore: è soprattutto questa la caratteristica che conferisce al fior di latte di Agerola la sua tipicità. Poi avviene la filatura della cagliata. Il ciclo di lavorazione si conclude con la mozzatura manuale, fase che mette a dura prova l’abilità del casaro. L’impiego di latte crudo e l’acidificazione naturale determinano nel fior di latte di Agerola il fresco e inconfondibile aroma di latte. Si usa caglio in pasta o liquido di vitello.

Dopo alcuni anni di declino, anche il fiordilatte ha conosciuto un processo di miglioramento qualitativo grazie alla dop di Agerola e sta tornando ad essere competitivo con la mozzarella di bufala. Un processo al quale, come per la ripresa del pomodoro San Marzano, hanno contribuito in maniera determinante proprio le pizzerie napoletane.
il derby continua, insomma, ma per fortuna all’insegna della qualità


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