Pommidoro a San Lorenzo, la trattoria preferita di Pasolini a Roma

Trattoria Pommidoro a Roma
Piazza dei Sanniti, 44/46
Telefono: 06 445 2692
Domenica chiuso

Pommidoro, il vino della casa

di Virginia Di Falco

Tanti cimeli, qualche pezzo di antiquariato e diverse opere di artisti contemporanei alle pareti. Le sale di questa trattoria aperta a Roma dalla fine dell’800 sono ricche di storia e memoria eppure, quando si entra, è solo di lui che si cerca tra i ricordi: Pasolini. E’ qui che il grande scrittore e regista amava cenare ed è qui che consumò la sua ultima cena nel 1975.
Oggi c’è anche un dehors su piazza dei Sanniti – siamo nel quartiere San Lorenzo – e Pommidoro è ormai rimasto, oltre a Tram Tram e pochi altri uno dei presidi della cucina casereccia, per usare un aggettivo un po’ démodé o cucina della gioia, come invece amiamo dire noi.

La cucina immediata, conosciuta, dei piatti di casa che a casa non si fanno più ma che rassicurano e soddisfano.

Le ricette della cucina romanesca ci sono tutte e accompagnano una buona selezione di carni sia locali, come le braciole di pecora, che internazionali e che finiscono quasi tutte sulla grande brace all’ingresso del locale.

La carta dei vini è ridotta all’osso (un osso anni ’80, per la verità), con due pagine due, una per i rossi e una per i bianchi.

Noi abbiamo optato per il vino della casa, imbottigliato ed etichettato per loro da un’azienda locale e che se l’è cavata alla grande con i piatti scelti.

Menzione speciale per i contorni con i quali abbiamo deciso di aprire la cena: puntarelle croccanti ed equilibrate; cicoria ripassata da 10 e lode e carciofi alla romana con una punta di croccantino sulle foglie sterne, davvero niente male. E poi l’extravergine più che dignitoso, per essere in una trattoria.

Da qualche anno, per gran parte delle verdure e dell’olio i proprietari di Pommidoro si riforniscono nella loro tenuta in Sabina e, bisogna dirlo, si vede e si sente.

Tra i primi piatti provati: una carbonara molto ben eseguita; fettuccine ai porcini gustose ma un po’ troppo ‘prezzemolose’ e pappardelle al ragù bianco di cinghiale, anche qui di buon sapore anche se la pasta andava scolata un po’ meglio.

Danno soddisfazione piena, invece, sia la pajata che la trippa alla romana in tegamino ed entrambe chiamano a gran voce la scarpetta.

Si viene serviti in un’atmosfera cordiale e familiare, come dovrebbe sempre essere in una vera trattoria e si chiude con i dolci classici come il tiramisù. Soprattutto, si esce soddisfatti e satolli con un conto ‘salvadanaio’ sui 35 euro. Evviva!


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