Roma, ristorante Pastificio SanLorenzo

Stefano Preli

Via Tiburtina, 196
Tel. 06.97273519
Aperto dal Martedì al Venerdì dalle 12.30 alle 15.00 e dalle 19.00 alle 2.00
Sabato
dalle 19.00 alle 2.00
Domenica dalle 12.30 alle 15.00 e dalle 19.00 alle 2.00
Chiuso il Lunedì
www.pastificiocerere.com

Aperto dallo scorso settembre e affidato al giovane Stefano Preli – già a Labico e poi all’Open al fianco di Antonello Colonna il ristorante dell’ex Pastificio Cerere è una tra le realtà più vivaci e in evoluzione degli ultimi mesi a Roma.

Siamo a San Lorenzo, nella fabbrica che si volle dedicare nel 1905 alle dea delle messi e che rientra nella riqualificazione degli opifici industriali nei quartieri di fine Ottocento-inizio Novecento; oggi sede di una fondazione che si propone come nuovo punto di riferimento per la divulgazione e la promozione dell’arte contemporanea.

Art-ristorante insomma —  come si dice con una parolaccia alla moda (e gran parte della clientela del ristorante modaiola lo è per davvero) ma lo stile bistrot della sala è simpatico e fa perdonare i tavolini “al centimetro” e le sedie di recupero combinate insieme ad effetto casaccio: bello ma poi ti può capitare anche quella scomoda. L’ambiente nell’insieme è piacevole, gli spazi diluiscono l’atmosfera un po’ caciarona, il servizio è giovane e informale, forse con qualche maniera spiccia di troppo.

Il benvenuto dello chef, pappa al pomodoro profumata al timo, dirige però subito l’attenzione alla tavola. Bella. E buona: si sente il pomodoro, nettissimo e l’olio profumato.

Chi ben comincia… Tra gli antipasti (tutti tra i 10 e i 14 euro) delle gustose crocchette di maialino speziate, servite su una salsa di avocado e lime, molto leggere, quasi soffici

e uno sfizioso kebab di sgombro con burrata e pomodoro “camone” — una varietà coltivata soprattutto in Sardegna, rosso-arancio con la parte superiore verde scuro.

Molto ben riuscito anche l’uovo croccante, con asparagi verdi e salsa mornay, una sorta di besciamella rinforzata. «Saranno mica le mitiche uova del Maffi?» ha chiesto con occhi ingolositi la mia vicina di tavolo, assidua frequentatrice di questo blog.

Tra i primi un gradito fuori lista: ravioli con ripieno di fagiano e salsa alle ciliegie, un sapore delicato e in buon equilibrio con il condimento, divertente sostituto del pomodoro grazie all’acido della frutta e al formaggio della mantecatura.

Dalla carta gli altri primi (siamo tra i 10 e i 13 euro): ravioli di ricotta cacio e pepe su salsa di piselli, gli spaghetti “ajo e ojo” con vongole e fave, i tagliolini con asparagina, aneto e rosso d’uovo, le tagliatelle di farina kamut con zucchine romanesche, menta e crudo di spigola.

Anche per i secondi piatti almeno un paio di scelte di carne e di pesce, tutti dai 18 ai 20 euro. Noi abbiamo provato il lombetto di coniglio porchettato con salsa di carote e frigitelli: buono, didattico.

Per dribblare le portate più impegnative una piccola scelta di fritti: alici in crosta di pane e finocchietto; suppli’ con pomodoro, basilico e fiordilatte; arancini con gli asparagi.

Oppure un piatto unico come l’hamburger: proposto qui a 18 euro, con mega panino di soffice pasta brioche, chips casalinghe e salsette d’ordinanza, a scelta tra manzo, tonno (quello della foto, con panino al nero di seppia) o salmone. Cottura leggera, buona la qualità delle materie prime.

Discreta scelta di vini al bicchiere, con possibilità di aperitivo e stuzzichini al banco. La carta dei vini suggerisce diverse bollicine, soprattutto francesi e un ventaglio non banale di etichette nazionali, molte con ricarichi onesti e tutte con l’indicazione dei vitigni, che non guasta.
Per chiudere qualche dolce al cucchiaio, come il soufflè al cioccolato fondente o la creme brule al frutto della passione o il gelato alle nocciole del Piemonte e i sorbetti preparati con frutta di stagione (tutti i dessert dai 6 agli 8 euro).

Il servizio, dicevamo, può migliorare; la cucina si capisce che poggia su ottime esperienze: ben organizzata e con diverse proposte solide ma anche divertenti. E divertite: lo chef non dà certo l’impressione di volersi sedere a guardare.

Virginia Di Falco


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