Rasott 2006 Campi Taurasini Irpinia doc

Pubblicato in: Avellino

BOCCELLA
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Questo è un vino difficile, molto difficile. Un rosso ancestrale per dirla alla Selosse. E per questo concettuale. Davvero, non so come spiegarvi. O non avete provato altro che vino sfuso dei contadini, oppure avete il palato afflitto da Borgogna e Saint Emilion come una mia amica toscana che vive da 20 anni a Parigi e non ne può più di Pinot Nero (demodé, un tempo lo abbiamo bevuto…), non c’è una via di mezzo per apprezzarlo e capisco allora perchè il mio amico Terence ne è ghiotto, sino al punto di ordinarne alcune centinaia di bottiglie per il mercato americano. Allora, ripartiamo un attimo da zero. Per certi versi può apparire un vino ormai old style, con alcol sopra i 14,5 gradi, struttura esagerata, colore rubino vino con riflessi violacei, poi però caccia al naso sentori vegetali, ferrosi, in bocca ha un tannino ancora poco domato, raspante, persino astringente se ne bevi a volontà. L’acidità domina il palato, fa i cazzi suoi per tutto il tempo senza lasciare minimamente spazio a questi sentori di frutta rossa che pure al naso emergono per la seconda zaffata. L’ho buttato su un agnello zeppo di rosmarino, menta e persino frustato con l’aceto balsamico ma ha subito prevalso, azzerando, dico azzerando, la carne. Giusto giusto si è baciato per qualche secondo con l’etilicità acetosa per poi riprendere il sopravvento. Infine l’unico pane per i suoi denti, e i miei, che ho trovato, è stato un provolone del Monaco stagionato per quindici mesi, come dire un bianco in Burkina Faso dove finalmente, come il mare sugli scogli neri di Portici, ha trovato il suo equilibrio estetico e papilloso. Questo rosso è un grande rosso, lo ha pensato quello che secondo me, se non si disperde in mille rivoli come è tipico della sua generazione, è il migliore enologo trentenne campano, quel Fortunato Sebastiano in pista qui e lì con alcuni vini evento. Lui sfugge, non ha la disciplina mentale di noi cinquantenni, ma proprio per questo mi è simpatico perché noi dovevamo essere molto militarizzati per contestare l’ordine costituito e ottuso, questi ragazzi sono già nati nel caos reaganiano e se uno su cento si salva va confezionato come un cristallo di Praga e difeso con tutte le forze. Questo rosso esprime energia, voglia di fottere, capacità di lavorare, ha il sole del Sud, il terreno vulcanico, una potenza inusitata per vigne coltivate nel freddo, l’alcol e la concentrazione non sono cercate, ma subìte. Credo che a Terence sia piaciuto soprattutto per il carattere: non è un vino mozartiano, che sono quelli da me preferiti, ma ha l’angoscia destrutturata dei grandi compositori del ‘900 figli di Mahler. Nasce su una vigna di mezzo secolo coltivata a spalandrone in quel di Castelfranci, siamo nel cuore della docg Taurasina piantata da Giuseppe Boccella. Si chiama Rasott, ossia Da sotto, perché sotto le due case costruite dal papà per i figli, Raffaele e Giovanni, sposati a due sorelle. Sono loro che la coltivano adesso. Gli irpini sono così, come i valdostani e i Faraoni dell’Antico Egitto. Se potessero, frequenterebbero solo persone con una traccia del loro Dna. Noi intrusi ne godiamo le inclinazioni, amiamo la loro laboriosità poco meridionale, detestiamo le loro chiusure poco partenopee. Ma questi vini, ragazzi, quanto sono buoni.

Sede a Castelfranci, via Sant’Eustachio
Tel. 0827.72574
Enologo: Fortunato Sebastiano
Bottiglie prodotte: 10.000
Vitigni: aglianico, fiano


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