Ristorante Acquasanta a Roma, il mare di Anzio al Testaccio

Acquasanta a Roma, i tavoli all'esterno

Ristorante Acquasanta Roma
Via Aldo Manuzio 28
Tel 06 45550020
www.acquasantaroma.it

di Virginia di Falco

Dalla cucina di pesce a quella di mare: il progetto Acquasanta al Testaccio non è solo l’ambizione di portare il pesce fresco da Anzio, dove uno dei soci ha una società ittica. L’ambizione della giovane brigata di cucina diretta da Enrico Camponeschi è quella di interpretare il mare e regalare piatti in cui la materia possa essere valorizzatas
Un progetto coraggioso ma che funziona: quando arriviamo noi il dehors è bello pieno e la sala interna vede molti tavoli occupati. Roma lentamente si risveglia dalla mazzata ricevuta e chi vive nei suoi quartieri popolosi ha certamente qualche vantaggio in più.
Il pesce è mediterraneo, ma la formula e l’ambientazione sono decisamente nordiche, con un arredo post industriale dai colori impegnativi e importanti.
La carta dei vini si colloca all’estrema sinistra del Parlamento del Mondo del vino, il gruppo è quello dei macerati; più che una carta, una sorta di guida che rivela una passione ma soprattutto un visione del vino ben precisa e molto di moda, quella dei vini naturali.
Vini che però ben si abbinano ai piatti, costruiti con semplice complessità. Il pesce sempre al centro, ovviamente,  con una cornice di orto e profumi di spezie e frutta, con un risultato finale che diverte e appaga, portato a tavola con competenza e professionalità.

Cosa si mangia al ristorante Acquasanta di Roma

Il ristorante ha aperto due estati fa, diciamo in un periodo poco fortunato, adesso finalmente ha la possibilità di rodarsi e ingranare la marcia, dopo le devastanti e incomprensibili chiusure imposte dal governo.
I temi di tendenza ci sono tutti: la freschezza, la tendenza amara che culmina nei dolci non dolci, decisamente ben eseguiti.

La triglia è da sempre il pesce più gastronomico che esista, secondo il nostro parere. Qui l’idea della panzanella è divertente, fresca e il mare si sente tutto.

Di contro invece la ceviche di ombrina soffre della ingombrante croccantezza della cialda di mais, decisamente da evitare.

A proposito di Mediterraneo, non si rinuncia alla lavorazione del pane, accompagnato da un ottimo extravergine. C’è poco da fare: continuano ad essere il miglior biglietto da visita per una tavola da questa parte del mondo.
I due primi sono appaganti e leggermente piacioni, come è giusto che sia. Fa meno chic, ma al posto dello spaghettone avrei preferito una fettuccia o una linguina per dare più spazio al mare. Ma il sapore delle cozze, quest’anno decisamente buone ovunque in Italia, salva il piatto e lo rende godurioso.

E veniamo ai secondi, decisamente la parte del pranzo che ci è piaciuta di più. In primo luogo perchè entrambi hanno un pensiero ben realizzato, poi perchè si vede che Camponeschi è uno dei pochi chef a salvare la seconda portata dall’estinzione :-)

Due bei colpi che da soli valgono la visita.

Perfetti anche i due dessert, allineati alla filosofia del menu, freschi, buoni ma per nulla stuccchevoli che ti fanno alzare da tavola leggero.

Insomma. Un posto che ha enormi potenzialità ancora inespresse. La tecnica rivela conoscenza del mestiere ed è finalizzata, quel che più conta, al gusto nel piatto più che ai virtuosismi estetici del momento. Il servizio è attento e  professionale, un locale in cui si sta sostanzialmente bene. Pagherete sui 70 euro vini esclusi, in carta con ricarichi ragionevoli, quasi da enoteca.
Pranzo in versione light e dalle 18 aperitivo, ovviamente a prezzi più bassi.
Buon divertimento.


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