Roma, il Mercato dell’Esquilino

Pubblicato in: Città e paesi da mangiare e bere

di Virginia Di Falco

Non è solo con l’immagine di Piazza Vittorio e il motivo di Ya Baba in testa che sono andata l’altro giorno al mercato dell’Esquilino.

Difficile non pensare al nord dell’Africa in questi giorni, alle loro piazze e al loro mare. Che è anche il nostro. Come sono nostre le coste che non accolgono più nessuno, dalle quali televisioni e messaggi governativi trasformano la tragedia di centinaia di disperati in pratiche da trasferire al Consiglio europeo.


Mi sono sentita un po’ stupida e un po’ borghese a soffrire per le statuette distrutte e trafugate del museo del Cairo, oddio-la-cameriera-ha-rotto-la-teiera, ora non la rivedrò più tutta intera come prima. E anche molto egoista a pensare meno male che ho visto Tripoli, Leptis Magna, Sabratha e l’incanto delle rovine sul mare prima di questa ennesima guerra.

Ma è così. L’overdose di notizie e immagini di questi giorni rischia di farci perdere di vista la dimensione reale di quello che sta succedendo e di restituirci un’idea di quella fetta del mondo come farebbe uno specchio deformante.


Avevo bisogno dunque di vedere e sentire un posto dove multietnico vuol dire qualcosa. E qui all’Esquilino è ancora così. All’ex mercato di Piazza Vittorio tutte le culture e tutte le cucine trovano ciò che vogliono.

Qui capite perchè la vostra zuppa non verrà mai come quella del ristorante indiano o del pakistano preferito, a meno di altre dieci visite e cento esperimenti.

Qui tutti i pesci del mondo finiscono il loro viaggio dopo miglia di correnti (e di spazio aereo, purtroppo) o in acque meno impegnative come quelle degli allevamenti ittici in provincia di Perugia.

Trovate il pesce gatto, sia fresco che essiccato, lo stoccafisso, i cefali di pezzature gigantesche. Radici e rape di tutti i tipi, anche quelle tonde del Lazio e bianche di Latina.

Decine e decine di spezie, tutti i legumi secchi del mondo.

E poi ovviamente frutta e verdura. Il mango del Bangladesh. Insieme ai cetrioli e ai pomodori della Sicilia.

Il peperoncino rosso di Santo Domingo e l’okra del Ghana. E ancora, riso, mais, soja. E la manioca brasiliana per i budini “poveri”. E le carni, con i chioschi divisi per tipologia e macellazione, che poi – da secoli – ha voluto dire divisi dalla religione. Trippa, abbacchi, zamponi di vitello. Il trionfo del quinto quarto.


La dittatura dell’HACCP impone dei ridicoli coperchi di plastica sui contenitori di spezie e legumi, mortificando un po’ la vista e il naso, così come l’obbligo dell’indicazione degli ingredienti per i prodotti lavorati fa scrivere a qualcuno sul banchetto con lo stoccafisso secco «ingredienti: stoccafisso».


Tra gli ambulanti pochissimi italiani, tanti indiani e pakistani. Sempre con quegli occhi che sorridono malinconici perchè i chilometri che li separano dalla loro terra stanno tutti li’ dentro. Ognuno di loro ti lascia fotografare i banchi, qualcuno si schermisce quando si accorge che potrebbe rientrare nell’obiettivo.

Tanto per cambiare, invece, gli arabi sono quelli che fanno più casino. Mi chiamano, fanno domande, si mettono in posa. Tutti mi dicono che sono bella. Allora sono proprio ingrassata, penso prima di uscire.

Nuovo Mercato Esquilino
Ex Caserma Pepe

Via Principe Amedeo
aperto dal lunedì al sabato, dalle 7:30 alle 14:00


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