Salae Domini 1996 vdt Antonio Caggiano

Pubblicato in: Avellino
Salae Domini 1996 Antonio Caggiano

ANTONIO CAGGIANO
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: non disponibile
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Ritorniamo sul 1996 di Antonio Caggiano che, come spieghiamo nella scheda sotto scritta quasi otto anni fa, è una delle etichette a cui siamo più affezionati. Un giovanissimo Luigi Moio di rientro dalla Francia aveva pensato per primo di usare la barrique sull’Aglianico. Mica facile, non c’erano precedenti e gli unici protocolli erano quelli pensati per  i vitigni internazionali. Serata di festa in famiglia, la vera vacanza pe chi gira sempre: spunta un cosciotto di capretto e la voglia di berci qualcosa di buono sopra. C’è ancora un 1996 di Salae Domini da qualche parte, il primo vino di Antonio Caggiano uscito nel 1994. Perché non provare? Detto fatto: il tappo, ancora buono, si spacca perché in due. La seconda metà la tiriamo fuori felicemente.
Giusto una scaraffata per far prendere aria al vino e via cosi, solo il fondo ha un po’ di residui. Il vino, color granato intenso, stupisce per la sua stabilità complessiva: al naso legno e frutta sono perfettamente fusi e la speziatura è giusto corredo a piacevoli note di amarema che poi fanno largo a note di cenere e di sottobosco. A palato il tannino, la vera ossessione di Luigi Moio, è mordido, l’alcol sotto controllo, niente eccessi. Il finale è lungo.
Parliamo di una annata non eccezionale per l’Aglianico ma la piacevolezza del vino c’è tutta: si beve con piacere, è tonico, fresco, elegante. Si intuisce l’idea di Aglianico che si svilupperà in seguito con il Taurasi Macchia dei Goti e nei vini che Lugi Moio progetterà negli anni seguenti.
Una buona beva, un bel risultato. Con una ritappatura il vino avrebbe potuto vivere ancora molto a ungo.
La bottiglia si beve, finisce agevolmente e noi ce la godiamo contenti sul capretto perfettamente cucinato al forno.

Scheda del 2 gennaio 2010. Voglio parlarvi di un vino che mi ha appassionato molto negli anni ’90 e che ancora riesce a coinvolgermi nonostante la tecnica sia sostanzialmente cambiata: il Salae Domini, forse il primo cru rosso della Campania dopo Montevetrano, prodotto con la frutta dell’omonimo vigneto, appena qualche centinaio di metri più sotto dove Antonio ha costruito la sua cantina.
Erano tempi, lo so che a chi ha oggi meno di trent’anni non frega nulla, in cui non si pensava proprio che si potessero fare grandi rossi in questa regione e pochi, in effetti, erano quelli che si distinguevano dalla massa di bottiglie polverose e acetose. Bisogna ricordare sempre queste cose per serbare la memoria della breve, brevissima storia della viticoltura meridionale e soprattutto per capire che è ancora tutta da scrivere e da studiare. Non abbiamo ricerche sistemiche e condivise sui terreni, molti nello scegliere cloni e sistemi di allevamento hanno solo orecchiato, non esiste ancora la possibilità di fare degustazioni seriali. Direi insomma che se la storia è 24 ore, l’orologio locale campano segna da poco passata la mezzanotte.
Ecco dunque perché iniziare a bere le tracce del passato diventa interessante. Caggiano, come tutti tranne Mastroberardino e Montevetrano, non ha disponibilità di archivio storico, se non qualche bottiglia salvata dalla furia dei clienti. Soprattutto negli anni ’90 la richiesta è stata così pressante e l’offerta così povera da rendere impossibile questo accorgimento. Del resto nessuno o quasi ci pensava. Dai carciofi al grano, dai pomodori alle cime di rape, dagli agrumi all’uva, i meridionali hanno sempre prodotto così: sotto con un’annata e  che la prossima Dio ce la mandi buona. Così facendo hanno lasciato solo tracce di palle di neve che si sciolgono al primo sole e che rendono impossibile ricostruire il percorso fatto da un terreno, da una pratica agricola, da una trasformazione artigianale.
Direi che proprio questo modo di fare, il non sapere cioé immaginare il proprio futuro e quello dei figli, è l’essenza della mentalità fatalista, o forse del possesso intimamente profondo del senso di caducità delle cose. In ogni caso siamo molto lontani dal confine in cui la vendita diventa commercio.
Da bambini, durante le vacanze estive, si faceva il gioco delle bancarelle, ossia su un muretto mettevamo le cose che volevamo vendere e aspettavamo i clienti che ovviamente non sono mai arrivati perché il muretto era quello di casa nostra. Solo ogni tanto mio padre passava e faceva finta di comprarci qualcosa. Il 90 per cento dei produttori meridionali si comporta ancora così.
Di Caggiano abbiamo avuto alla fine sempre buone prove quando ci siamo confrontati con il tempo: qui, qui, o qui e qui potrete avere delle verifiche sul campo, quando cioé questo sito torna alla sua funzione originaria per cui è stato pensato, essere un archivio a disposizione di tutti. Anche stavolta non siamo stati smentiti nonostante il millesimo 1996 non sia decisamente memorabile in nessun territorio italiano e tanto meno a Taurasi.
In queste annate, credo sino alla 2000, Caggiano faceva sostare il Salae Domini in barrique di secondo passaggio per 18 mesi. Insomma, era quasi un Taurasi perché seguivano altri sei mesi di bottiglia. Ora resta in legno solo un anno.
Rispetto alle altre volte, infatti, il vino, integro nel suo colore granato, esplode al naso pochissima frutta, e comunque sotto spirito, caratterizzandosi per una zaffata potente e costante di cuoio, sapete, quella di quando aprite una scatola di scarpe nuove. Non è dunque un vino di emozione, perché ritroviamo ancora traccia di foglie secche ma niente delle note balsamiche che in genere accompagnano il naso di Caggiano, ma sicuramente è un vino in buona salute.

Ve ne accorgete quando lo mettete in bocca. In primo luogo non c’è eccessiva concentrazione materica, il vino si beve tranquillamente. L’attacco non ha sentori dolci, ma è proprio da Aglianico, la sapidità regna piacevolmente sovrana, sostenuta da una buona acidità mentre i tannini sono del tutto rientrati. Un vino sostanzialmente magro dunque, per questo nelle mie corde, capace di camminare sulle sue gambe ancora per molto tempo. Un segnale viene, e voglio fare i miei complimenti al produttore per la scelta, proprio dal tappo, appena appena attaccato dal vino per un decimo e assolutamente integro.
Un altro dato che vogliamo trasmettervi è la stabilità di questo vino. A distanza di due giorni dalla beva nel suo decanter riposa tranquillo, il processo ossidativo non attacca ancora in maniera percettibile il naso e riesce a dare un po’ di fiato in più alla sensazione della frutta sotto spirito.
Da abbinamento, buon lavoratore.

Sede a Taurasi, Contrada Sala. Tel e fax 0827.74723. www.cantinecaggiano.it Enologo: Giuseppe Caggiano con i consigli di Luigi Moio. Ettari: 20 di proprietà. Bottiglie prodotte: 130.000. Vitigni: aglianico, gianoc, greco.


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