Sotto l’ombrellone-3. Il crudo vi sommergerà

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

Li hanno trovati che facevano l’alza bandiera, una mattina, come tutte le mattine, da venticinque anni. Bandiera rossa a difesa dell’isola di Kaishan, puntino nel Mar Giallo, avamposto cinese contro l’invasore del Sol Levante.

La famiglia Wang, marito, moglie e tre figli: non è dato sapere se anche questi ultimi indossavano la tuta mimetica di ordinanza. Se li erano dimenticati laggiù, senza munizioni, senza luce, senza telefono e televisione: dal 1987 tutti i giorni guardavano il mare, col fucile in mano. Scarico.

Li hanno lasciati con uno stipendio minimo e senza cibo. Loro pescavano e barattavano il pesce con navi di passaggio in cambio di generi di prima necessità. Gamberoni e capesante. Si sono sostentati con gamberoni, molluschi e capesante. Abbiamo debiti, dicono. I cinesi li hanno proclamati eroi della resistenza: il loro debito di riconoscenza lo hanno saldato con una patacca, perché i Wang hanno pensato bene di rimanere sull’isola, a “difendere” il loro paese.

Un giornale BlaBlaBla racconta di una tipa con le labbra canottate come il tender della barca da cui è appena scesa, che sibila di amare tanto le crudités. Ora, se l’uso improprio e leggero del verbo amare mi provoca una specie di tic nervoso, le crudités mi hanno scassato gli zebedei. Non tanto per il crudo in sé, del quale peraltro non avverto tutta questa necessità, ma per il desoalnte richiamo all’immanente decadenza del mondo, iniziata invero con la tartare di tonno, come affermava il sommo Tony Pagoda, del quale chi scrive è tardissimo epigono.

Stanchezza che mi assale ogniqualvolta un cibo è usato, subìto, ripetuto, imposto, complicato, plagiato, esibito, svilito, marchiato, sbattuto, frullato e propinato come l’ennesima sneaker o il Capichera Vendemmia Tardiva, con tutto il rispetto per le sneakers e ovviamente per il Capichera, di qualunque vendemmia. Un pesce crudo è un pesce crudo, e basta: è autentico, intenso e significante così com’è, senza orpelli, non può e non deve farsi carico della mia fragilità. Ha già i suoi problemi. Non diversa la sorte delle capesante, sulla china ineluttabile anche i gamberoni, anch’essi tartarizzati sulle barcazze o carbonizzati in orrende grigliate sulla spiaggia con le bandane e le bocce di frizzantino o peggio ancora di champagnino. Sindrome dell’isola deserta che non sarà mai famosa.

Ecco, l’isola. Forse i signori Wang gradirebbero un po’ di compagnia, senza telefonini, senza televisori, senza soldi, senza russi, senza briatori, senza cristal sputtanati, senza prestipedatori, senza veline scianguettanti, senza crudi, senza tartare e crudités. Insomma, senza. O forse troverebbero una ragione alla loro perseveranza. E comincerebbero a sparare: lacere bandiere rosse, alghe putride, pallottole di merda, brandelli di tuta mimetica, gamberi marci, molluschi e capesante avariate, pesce ammuffito e sputazzi fino a sommergere l’agognato e ignaro invasore.

La decadenza vivrebbe il suo epilogo: un fescennino inenarrabile, una scena apocalittica degna del finale di Zabriskie Point.

Giampaolo Visetti – La guerra solitaria dei Wang – La Repubblica


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