di Fabrizio Scarpato
Il Capo alza al cielo un’ascia e uno scudo. Forse accompagna il gesto con urla di guerra. Il segno è primitivo, sembra un personaggio di una pittura rupestre nascosta in grotte millenarie, un graffito che racconta un gesto, una identità. Nero su verde. U Baccan, il capo. A occhio e croce non di una barca, non un comandante, al contrario, pare piuttosto terragno, silvestre. Lo osservi attraverso il giallo metallico verdigno che ruggisce nel bicchiere, stirato e teso, muscoli senza un filo di grasso, cacciatore nella foresta, chissà, sul crinale delle Alpi Marittime, battute dal libeccio. E sono effluvi puntuti di erbe aromatiche, di esotismi e agrumi mica maturi, scudisciate selvatiche e screziate, che arrivano al naso pimpanti eppure fascinose, intriganti, armoniose. Bevi, ammaliato dalla nota dritta e balsamica, l’anice, il cedro, e il sale, del sedimento di stalattiti e stalagmiti, di quel che è stato fondale marino. Una immersione nelle viscere della terra, un sorso che è come sorgente squillante, all’inizio di tutto, prima di tutto, a capo di tutto. Bevi ancora, e riemergi tra la verzura. Tiri un urlo e sbatti il bicchiere sui sassi. U Baccan.
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