di Fabrizio Scarpato
“E’ un vino particolare, lo sa?”. Non lo so, lo immagino, ma messa giù così me lo rende imprescindibile, non fosse altro per un senso di solidarietà verso tutti quei vini con quella faccia un po’ così, che ancora sono costretti a sdoganarsi, a giustificarsi, col rischio di esser rispediti dritti al punto di partenza, senza avercela fatta, magari con su scritto e stampato “vino particolare”. E invece c’è del bello, solo a volerlo raccontare per sfumature d’arancione: l’arancia, con un po’ di buccia e di albedo, l’albicocca, la nespola, il mango, i cachi ancora da maturare, l’uva un po’ passa, le caramelle mou, le foglie quando cadono, sui Colli Euganei come nel Vermont. Potresti immalinconirti e con ragione, se non fosse per quella saettante acidità, per l’urto repentino del sasso che sposta e agita gli equilibri: quasi un lambic, o uno scatto segaligno di Johan Cruijff, tra le maglie arancioni.
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