Un bicchiere per due / Corbières Mire la Mer 2011, Les Clos Perdus

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

A Narbonne qualcosa, dentro, le disse che non era ancora il momento di abbandonare il mare. No, non era la schiena e nemmeno il sedere, che non ne potevano più di stare accovacciati sulla moto: era una vaga sensazione di ansia, un presentimento che forse cercava di metterla in guardia da un eventuale rimpianto. Lui avrebbe voluto tirar via verso Carcassonne e mettersi alla sinistra i Pirenei: Biarritz era lontana, laggiù, ma a lui non interessava affatto l’Oceano, la spiaggia, tantomeno si sarebbe preoccupato per un eventuale raggio verde: a lui importava solo stare sulla moto, sentirne il rombo, il più a lungo possibile. Per questo si infastidì quando lei pretese di fermarsi in quella gite di Peyriac de Mer, sullo Stagno di Bages: voleva assaggiare i vini de Les Clos Perdus, e forse erano state proprio quelle parole che le rimbalzavano dentro da qualche ora, a dettarle la necessità di fermarsi, per non perdere qualcosa.

Il vino era una passione che li accomunava, molto più della moto, e lui alla fine accettò, anche se a malincuore. Arrivarono nel pomeriggio, il sole ancora alto, mangiarono qualcosa e chiesero un bicchiere di Mire la Mer, tanto per cominciare, in attesa della sera. Il colore era fantasticamente rosso, che più rosso non si può, intenso e squillante, rubino fitto, all’unghia una riga di porpora cardinalizia. C’era un che di materico in quel colore, i riflessi mandavano lampi setosi, vellutati, in qualche modo sensuali. Aveva sempre pensato che il vino fosse una sorta di catalizzatore nelle reazioni a pelle tra le persone: facilitava gli sguardi, abbatteva le barriere, accarezzava i pensieri. Pensò alle lenzuola fresche della camera, la finestra sul balcone all’ombra degli alberi, il fruscio silenzioso delle tende mosse dalla brezza del mare a due passi. Lo guardò mentre beveva un sorso. Lui non capì o fece finta di non capire e si alzò, dicendo che doveva pulire la moto e metterla al riparo dalla salsedine. Lei si morse le labbra, ma trovò sostegno e consolazione nei profumi di frutti rossi maturi che salivano dal bicchiere, nel potpourri di fiori secchi, di viole, di carruba, in una dolce speziatura che avrebbe detto di sirah, sbagliando.

In quel vino c’era un po’ di grenache e qualcosa di più di carignan, da piante secolari della prima collina, ma soprattutto c’era il mourvèdre, che cresceva lì tra quelle vigne basse ad alberello tra le quali ora stava camminando, in dolce discesa di fronte al mare, fino a lambire l’acqua degli stagni. Un piccolo gruppo di fenicotteri rosa la guardava con curiosità, forse insospettiti dalla sua andatura dinoccolata, dal suo corpo magro e flessuoso. Si sedette sulla riva, col bicchiere tra le mani, sul viso i raggi del sole ormai al tramonto. Socchiuse gli occhi per il vento, mentre beveva l’ennesimo sorso di vino: ritrovò il profumo di bacche e erbe aromatiche che aveva respirato tutto il giorno, si abbandonò all’attacco dolce della ciliegia e dei mirtilli, apprezzò i tannini gentili, si ricreò sulla spinta fresca e sapida che raddrizzava il passaggio in bocca, rimase come folgorata dalla breve scossa di un finale che sapeva di menta. Allora si avvicinò all’acqua e si sdraiò, puntando i gomiti a terra, la testa quasi nella vigna, la pelle a contatto con la terra umida, la stessa di cui quel vino era abbondantemente impregnato. Inarcò la schiena gettando i lunghi capelli biondi all’indietro: avvertì una vibrazione lungo i muscoli di seta, sentì il corpo trasformarsi nel contatto biochimico che annullava il confine tra la terra e il mare, quasi fosse il substrato specifico e sinuoso di una reazione imprevista, catalizzata da quel bicchiere di vino, che il mare, manco a farlo apposta, lo portava nel nome. Fu attraversata da un tremito forte, da un’accelerazione del battito, fino a che il respiro non si spense in un gemito.

Nel gruppo di fenicotteri rosa che avevano assistito alla scena, uno, sicuramente una femmina, si rivolse esterrefatta all’amica che aveva accanto: “Voglio anch’io quello che ha bevuto lei…”


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