Vino e Twitter, #aglianicodelvulture1 o #adv1 report. Il primo incontro al Sud attraverso la rete

Pubblicato in: Eventi da raccontare

di Alessandro Marra

La genesi.

#aglianicodelvulture1 o #adv1 nasce su twitter da un’idea di Sara Carbone aka @saravinicarbone e di Vittorio Rusinà aka @tirebouchon: produttrice di aglianico del vulture in quel di Melfi con la famiglia ma trapiantata in Friuli, lei; audace e valoroso appassionato sulla collina di Cavoretto, lui. Grazie soprattutto al loro impegno e a quello di Sapore dei Sassi aka @saporedeisassi oltre che all’entusiasmo dei produttori vulturini, la cosa diventa in poco tempo realtà: dopo #barbera1 e la serie infinita di #lambroosky, è Sara Carbone ad annunciare il programma definitivo dell’evento a una quarantina tra bloggers, produttori di vino (e non solo) e appassionati vivi e vegeti in rete che avevano detto sì. Il primo evento del genere nel Mezzogiorno dall’alba del mondo. Sui vari socialcosi è delirio.

Primo giorno

La traversata dell’Italia

Viaggio lungo, quello sì, un vero e proprio coast-to-coast. Ma divertente, altroché. C’è chi s’è mosso in treno, chi in auto e chi in aereo, chi ha fatto l’adriatica (la maggior parte dei nordisti), chi ha fatto un pit-stop a pranzo da Uliassi e chi ancora (come noi) ha percorso l’A1. Equipaggio di quattro membri, il nostro, su due vetture: sulla prima – una comune automobile condotta da Gianluca Morino aka @gianlucamorino – c’ero io; alla guida della seconda – vettura di ultima generazione altrimenti detta #bubblewinecar per il massiccio carico di bolle made in franciacorta di Lucia Barzanò aka @UcciB – c’era invece Chiara Giovoni (aka @kiainga). Secondo viamichelin.it, 878 km di strada; cioè 8 ore e 39 minuti. Ce la siamo presa con calma: partenza alle 8 da Milano e arrivo più o meno 12 ore dopo a Melfi. Viaggio raccontato in diretta con i tweet per tenere aggiornati gli #odv1 o #orfanidelvulture1, ovvero gli assenti sparsi qua e là nello Stivale e nella rete. Musica a palla, vale a dire la #compilescion creata ad hoc da @kiainga. Tre soste allietate, con moderazione, da bollicine di diversa provenienza geografica per accompagnare i panini accuratamente preparati da @gianlucamorino (gorgonzola, “mortazza”, burro e acciughe) e quelli preparati dai miei genitori (capicollo e caciocavallo di Castelfranco in Miscano) che abbiamo prelevato durante la breve sosta nel Sannio.

L’approdo: grigliata con La Compagnia dell’acidità

Siamo arrivati per ultimi. Giusto il tempo di una doccia in albergo e poi via in direzione dei vigneti di Sara Carbone, in località Braide, per la grigliata di benvenuto. Assaggi a cura de La Compagnia dell’acidità: Andrea Bezzecchi aka @andreabez – produttore di aceto balsamico tradizionale – a guidarci nella degustazione dei suoi aceti di vino (su tutti, menzione particolare per quello di pigato) e @tirebouchon a proporci alcune lambic (birre a fermentazione spontanea, cioè senza aggiunta di lieviti al mosto) del birrificio artigianale belga Cantillon. Apro parentesi. Detto che ero assai curioso di provarle (le lambic, dico), ammetto che il primo incontro ravvicinato non è stato proprio esaltante; che un po’, a dire il vero, me l’aspettavo. Delle due assaggiate – la Gueuze e la Kriek – ho apprezzato la prima mentre non mi è affatto piaciuta la seconda. Per la cronaca: la Gueuze è un assemblaggio di lambic di uno, due e tre anni, dove quelle più giovani apportano gli zuccheri naturali necessari alla rifermentazione in bottiglia e quelle meno giovani conferiscono eleganza e complessità al bouquet; la Kriek – invece – è prodotta con l’aggiunta di una varietà acidula di ciliegia, la krieken. Chiudo parentesi.

Discorso a parte per i taralli della mamma di Sara Carbone, già famosissimi sul web. In una parola: fantastici! Che qualcuno avrebbe mangiato solo quello…

Secondo giorno

La degustazione

Alla cieca. Otto diversi aglianico del vulture di annate comprese tra il 2004 e il 2008 preceduti dall’assaggio del rosato “Le More” 2009 di Eubea, colore intenso e profumi netti di frutti rossi e spezie. La nota eterea, appena sopra le righe al naso, diventa più pungente in bocca, penalizzando il sorso pur secco e assolutamente caldo. Niente di indimenticabile, in tutta sincerità; ma tentativo – credo – assolutamente da incoraggiare ché  sarebbe stato di sicuro più “facile” fare un rosato con certe altre uve invece che con l’ostico aglianico. Oltretutto, un tipo di vinificazione che è roba anche piuttosto antica nel Vulture: Rino Botte di Macarico e Michele Laluce ricordano come il rosato rappresentasse tradizionalmente la “dispensa” per il consumo immediato della famiglia e degli operai che lavoravano nei campi.

Dopo il benvenuto ufficiale di Sara Carbone si sono aperte le danze (le bottiglie – quelle – erano tutte coperte e stappate già da un po’). Molto interessante lo spunto di Vittorio Rusinà che – rievocando le parole di Jonathan Nossiter tratte dal libro “Le vie del vino” – ha parlato del terroir, significativamente “raccolto” nel sacchettino trasparente all’interno della brochure-ricordo della giornata; come pure l’intervento di Chiara Giovoni che ha proposto, invece, un brano tratto da “Il Profumo” di Patrick Suskind.

Quindi, la #degustescion vera e propria: non una sfida ma, appunto, un modo per stimolare il confronto e cercare di cogliere l’essenza di un vino e, appunto, del suo terroir. Ecco gli otto campioni che ho già ri-nominato con il nome di battesimo comunicato al termine degli assaggi.

Grifalco 2007, Grifalco

Bello il naso e pure abbastanza intenso, giocato sulle note di prugna e fieno, di ginepro e alloro. Lineare, molto pulito e nondimeno elegante, con quella punta di etereo che arricchisce il bouquet e non infastidisce affatto. Mi è piaciuta molto la costanza e la durevolezza delle sensazioni, dei profumi soprattutto. Gradevole il sorso, secco e caldo con un tannino setoso, forse troppo, che se per certi versi avrebbe potuto farmi pensare a un vino più maturo di quello che poi si è rivelato, per altri mi ha lasciato un po’ perplesso. Ecco, appunto: mi sarei aspettato un non so che di più “virile” in bocca.

Il sigillo 2006, Cantine del Notaio

La prima sensazione, al naso, è stata quella di un vino più invecchiato; e non solo per le tonalità di colore, già più cupe del precedente. Tutt’altra impressione, invece, al palato dove nulla o quasi mi ha ricordato i profumi di ciliegia quasi in confettura, di tabacco e cacao percepiti all’olfatto. Un’impronta maggiormente dolciastra, pure; e forse anche un diverso uso dei legni. Alla fine, c’ho preso con la sensazione iniziale: più vecchio, sì. Ma anche meno compiuto, per la verità. Con il tannino più ruvido e un senso generale di insoddisfazione per un sorso che probabilmente abbisogna ancora di tempo. Si vedrà.

Le Drude 2006, Michele Laluce

L’approccio iniziale è parso più austero ma anche più complesso con il ventaglio dei profumi che ha aperto alle erbe aromatiche e si è assestato sulle note fruttate e floreali, fino ad arrivare alle sensazioni “animali” di chiusura. Rispetto ai primi due campioni mi è sembrata diversa l’impostazione; cosa poi confermata a bottiglie scoperte dallo stesso Michele Laluce (no “legni piccoli”). Basti pensare al colore, quasi “nebbioleggiante” (anche se non mi è mai piaciuto fare paragoni del genere), di cui ho particolarmente apprezzato il gioco di trasparenze.

Stupor Mondi 2007, Carbone

A bottiglia coperta avrei parlato di un naso fantastico; rivelata la sua identità aggiungerei, banalmente, che l’etichetta calza a pennello. Profumi di complessità e intensità difficili da trovare – per di più in un rosso di appena tre anni – ad alta definizione e molto costanti pure: cacao, china, rabarbaro, pepe nero, chiodi di garofano, erbe aromatiche dietro alla frutta rossa scura, matura. Non male anche in bocca, potente e tannico quanto occorre; ma sicuramente meglio al naso ché al palato è ancora un po’ sulle sue.

Pian del Moro 2008, Musto Carmelitano

Benché il naso sia apparso a molti – me compreso – “cotto”, non ha sfigurato. Certo, non proprio una performance esaltante, anzi decisamente sotto tono, di tutt’altra levatura rispetto all’assaggio del millesimo 2007 lo scorso anno alle Piccole Vigne. Piuttosto, non mi ha effettivamente convinto quell’insolito alternarsi dei toni dolci dei fiori e della frutta con quelli ben più “duri” delle spezie e della china. Troppo, dico ancora troppo tannico.

Roinos 2006, Eubea

Naso meno “cotto” rispetto al campione precedente ma che m’ha lasciato pur sempre un po’ così. Il frutto ha virato verso l’amarena piena, la prugna quasi in confettura; il velo floreale è rimasto più sotto, meno nitido. Ha peccato di equilibrio (non ancora raggiunto) per via dell’alcool troppo su e del tannino assai vigoroso. Il sorso è finito per risultare come appesantito, forse per un uso dei legni un tantino invadente. Di tutt’altra concentrazione (e stile anche) rispetto all’altro campione del 2006.

Eleano 2004, Eleano

A guardare le trasparenze e le tonalità del colore avrei giurato ci fosse una certa somiglianza con il terzo campione; e così pure per le note di erbe aromatiche – un po’ più sul mentolato – e per quelle “animali” percepite in chiusura. Frutta rossa, però più dolce, più carnosa e più succosa. L’eleganza non l’ha mai abbandonato, al naso come in bocca; qui l’ingresso è morbido, il gusto è caldo e appagante, il tannino è ben calibrato. Persistente che avresti un bel po’ da contare e molto composto.

Macarico 2008, Macarico

Ecco, a volergli trovare un difetto potrebbe dirsi di quel finale amaricante, amarognolo, chiamatelo come vi pare. Che in effetti nemmeno guasterebbe, specie a tavola. Ad ogni modo, una bella interpretazione con le note di prugna e rosa sempre bene in vista e il sorso intenso che entra morbido e si concede, poi, secco e bello caldo; con il tannino che è già ben smussato nonostante i due anni trascorsi dalla vendemmia siano davvero pochi, specialmente per l’aglianico del vulture.

Non una gara, dicevo. Pur essendo normale esprimere – alla fine – un giudizio personale di gradimento. Nel mio caso – ex aequo – “Eleano” 2004 di Eleano, “Le Drude” 2006 di Michele Laluce e “Stupor Mondi” 2007 di Carbone (che poi, curiosamente, rappresentano tre diverse filosofie di produzione); poi, “Grifalco” 2007 di Grifalco (l’unico campione dell’areale di Venosa) e “Macarico” 2008 di Macarico.

Il pranzo vulturino, la visita a Michele Laluce e Elena Fucci

Al termine della degustazione, s’è fatto ritorno in campagna per il pranzo: il pane di Matera, i peperoni imbottiti, la melanzana alla parmigiana, la focaccia di pomodori, le uova con la salsiccia, le patate lesse con i peperoni crucchi, il pecorino di Moliterno e altri formaggi caprini locali. Il tutto accompagnato dai vini dell’azienda Carbone e da diversi altri assaggi.

Poi, cancellata senza indugi la pausa pomeridiana, una breve puntatina in vigna da Michele Laluce insieme con un piccolo gruppo di amici. Buono il “Morbino” 2008 da uve moscato e malvasia di candia, ancora integro nonostante la bottiglia che abbiamo assaggiato fosse già aperta da un po’ e conservata in frigo. Peccato solo che le 3mila 500 bottiglie prodotte siano tutte “svanite” (si sappia che Michele Laluce ne ha “nascoste” alcune dietro le botti grandi nella barriccaia, pardon nella bottaia): colore dorato e naso intrigante sempre in bilico tra l’aromaticità delle uve, i profumi fruttati e balsamici, gusto secco e sapido, di buona persistenza.

Poi, di nuovo in albergo. Doccia lampo e via alla volta di Barile dove c’era ad attenderci Elena Fucci. Giovane ma con le idee ben chiare, laureata in enologia all’Università di Pisa, da qualche anno è impegnata nella conduzione dell’azienda con l’aiuto della famiglia. Ha parlato del progetto della nuova cantina che spera di ultimare nel giro di un anno e di vino a tutto campo. Il suo “Titolo” 2007 è roba stilisticamente perfetta: un aglianico del vulture sofisticato ed elegante come non avresti mai pensato, con il frutto che emerge tra le sfumature del legno non del tutto digerite; paga – a mio avviso – la gioventù tanto da faticare (quasi) ad esprimersi adesso, a soli tre anni dalla vendemmia.

La cena all’Antica Osteria Marconi di Potenza

Dello chef Francesco Rizzuti aka @frankrizzuti ne avevo sentito parlare un gran bene. E le aspettative sono state rispettate con un menù diviso tra tradizione e innovazione ma meno territoriale di quanto avrei forse desiderato. Parlo dell’entrée oppure della crema di patate, sabbia di funghi porcini con vongole veraci ed erbette o ancora della tempura di baccalá con insalata di fagioli e mix di polvere di caffè e capperi, tutte gradevolissime interpretazioni marinare. Tanto di cappello per le ultime portate: l’agnello e, soprattutto, le cime di rapa con uova Parisi e peperoni dolci di Senise essiccati. Riscontro assolutamente positivo presso tutti i commensali, insieme ai quali abbiamo bevuto di nuovo tutti i vini in degustazione al mattino per la “cieca” oltre che alcune altre etichette delle aziende coinvolte nell’evento e – ancora – bollicine francesi, i franciacorta de Il Mosnel, le barbera di Nizza. Per finire, il passito d’aglianico offerto dalle Cantine Iannella di Torrecuso (BN): tipologia assai insolita per questo rosso ma dalle interessanti prospettive.

Terzo giorno

La visita a Basilisco

Non è stato per niente facile arrivarci ma i vigneti del’azienda di Barile meritano il viaggio; come pure le cantine ricavate negli “shesh” (grotte un tempo abitate dagli esuli albanesi che erano sfuggiti alla persecuzioni dei turchi), all’interno delle quali si svolgono oggi la vinificazione e la maturazione. Molto suggestivo anche il centro aziendale dove si è svolta poi la degustazione. Dei due vini che l’azienda produce ho preferito il “Teodosio” 2007, che poi sarebbe l’aglianico del vulture “base”: molto pulito, lineare, direi schietto col frutto succoso e una lieve speziatura tra i più soffusi toni minerali. Meno godibile, adesso, il “Basilisco” 2006, selezione delle uve provenienti dai vigneti aziendali, che nonostante la maggiore complessità olfattiva iniziale appare meno compiuto, anche al palato. Ma si sa, l’aglianico dà il meglio di sé solo a distanza di qualche (e anche più di qualche) anno dalla vendemmia.

I saluti

Il mio #aglianicodelvulture1 o #adv1 è finito qui, con i saluti all’allegra compagnia che da Barile ha proseguito in direzione di Matera per la visita ai sassi e le attività organizzate da Giuseppe e Angela di Sapori dei Sassi, con la cena finale al ristorante I Baccanti e la twitter-torta a ricordo di una di quelle esperienze che faresti a meno di tornare a casa.


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