World Pizza Day: il 2023 sarà ancora l’anno della pizza. Della pizza, non della pizza gourmet!

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista
Errico Porzio

Errico Porzio

Ormai il 17 gennaio è il capodanno dei pizzaioli. La decisione di rilanciare la vecchia abitudine di onorare Sant’Antonio Abate, protettore dei mestieri che si misurano con il fuoco (quindi anche pompieri e panettieri)si è rivelata benefica ed è stata ripresa in tutta Italia e nel Mondo grazie alla rete delle pizzerie che aderiscono alle due principali associazioni di categoria.
Inutile far finta di niente: la pizza è stato il cibo trainante nel corso degli ultimi anni. Alcune previsioni avevano profetizzato nel 2016 tre anni di crescita, ma ormai entriamo nel sesto anno e non possiamo che constatare che l’espansione non è ancora terminata.
Protagoniste di questo fenomeno sono in primo luogo le catene artigianali come è emerso dal convegno di Madrid organizzato da 50 Top Pizza: al di là delle formule scelte, replicabilità, franchising, un dato è certo:è boom. A questo fenomeno ci credono sia gli imprenditori di altri settori che investono sia gli stessi fondi specializzati che hanno il controllo di un paio di marchi importanti.
Il fenomeno delle catene artigianali è epocale, è la risposta culturale e pratica ai modelli anglosassoni che puntano ad industrializzare il processo di produzione e disumanizzare il momento della vendita al dettaglio in una catena produttiva dove l’elemento umano gioca un ruolo sempre più marginale. Ma paradossalmente proprio questa meccanizzazione dei processi produttivi riduce i margini di guadagno perchè sottrae a questo prodotto il valore aggiunto, ossia il capitale umano. Decisivo nella preparazione del prodotto quanto nel servizio vero e proprio .
Le pizzerie hanno così preso il posto delle trattorie nell’immaginario collettivo, una famiglia può andarci più di una volta alla settimana sicura di mangiare un prodotto di qualità. La pizza da prodotto povero e popolare è diventato lusso accessibile e pop.
Hanno sbagliato quei critici che hanno invogliato i pizzaioli a seguire la strada degli chef per un motivo molto semplice: l’alta ristorazione è guardata, spesso giustamente, con molto sospetto dalla maggioranza degli italiani mentre nessuno ha alcuna remora ad entrare in una pizzeria. Ecco perchè il termine pizza gourmet per certi versi può essere considerato un ossimoro. La pizza in quanto tale è pizza, indica una tipicità e in quanto tale viene letta dalle persone, anche perchè con il termine gourmet molti intendono solo una aggiunta pasticciata e non ragionata di prodotti, anche buoni, sul disco di pasta. Spesso siamo di fronte a veri e propri inguacchi gustativi segnati da eccesso di latticini e di formaggi.
L’altra figura di riferimento, oltre quello delle catene artigianali, è quella del pizzaiolo che sta sempre vicino al forno e che si identifica con la pizzeria. Persone come Coccia, Martucci, Ciro Salvo, Bacchetti e tanti altri che non giocano a fare le star pur avendo molti ammiratori e che per legittimarsi più che stare vicini agli chef stellati preferiscono ascoltare i loro clienti.
In questo contesto Napoli resta al centro di questo movimento, un riferimento emozionale per chi va questo lavoro come ha dimostrato la serata mondiale a Palazzo Reale di 50 Top Pizza. Ma questo le istituzioni non l’hanno ancora percepito fino in fondo e si confermano in ritardo rispetto alla società civile.


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