A Sant’Arsenio i dolci natalizi della memoria

Pubblicato in: Eventi da raccontare
Gli alunnidi sala e cucina dell' Istituto Alberghiero Antonio Sacco

di Carmen Autuori

Un viaggio nella memoria che ha la connotazione di un Natale antico quello organizzato dall’Istituto Alberghiero Antonio Sacco di Sant’Arsenio, paese nel cuore del Vallo di Diano. Lo spunto è stata la prima edizione del concorso “Il dolce natalizio della tradizione locale”. A mettersi in gioco i giovanissimi alunni che con passione hanno voluto testimoniare il grande senso di appartenenza al loro territorio  preparando, tra l’altro con rara maestria, i dolci poveri del Natale, quelli che erano il frutto della grande inventiva delle nonne, e forse anche delle mamme,  che con pochi ingredienti, farina, zucchero, sugna e qualche aroma, riuscivano a portare a tavola la magia delle feste.

Dolci che con il loro grande significato simbolico parlano di un piccolo grande mondo antico che, ancora oggi, si attesta come vera ricchezza e di conseguenza motore di ripresa del nostro Sud.

Nell’ambito della manifestazione, fortemente voluta anche dall’amministrazione comunale e dal sindaco Donato Pica e mirabilmente coordinata da Giuseppe Aromando, direttore del Museo Civico di Montesano Sulla Marcellana, è stato presentato il libro “Il Metodo Cilento. I cinque segreti dei Centenari” di Luciano Pignataro  che è anche il “metodo del Vallo di Diano” essendo la filosofia di vita dei due territori molto simile.

La kermesse si è aperta con un dolce antichissimo “ ‘o ruospo” nella versione dolce (esiste anche quella salata che prevede all’interno le alici sott’olio).

Una sorta di frittella, sofficissima, arricchita da uvetta passa e dal sentore di liquore Strega. A seguire la regina del Natale delle case valdianesi, la zeppola con il lievito madre, chiamata a secondo del paese dove viene preparata anche  “crescia” oppure “luvata”.

La caratteristica di questo dolce è quella di mantenere inalterato il sapore e la sofficità per vari giorni, e dunque per tutto il periodo natalizio: in passato bastava riscaldarla accanto al camino (oggi in un qualunque forno) per farla rinascere a nuova vita. Poi sono stati serviti “le canestredde” , strisce di pasta frolla, impastata rigorosamente con la sugna, arrotolate a mo’ di cesto e fritte. Dolce quest’ultimo che ritroviamo nella tradizione dolciaria di tutto il Meridione con vari nomi: “uanti” , “nocche” ed in Puglia “cartellate”, simbolo delle fasce di Gesù Bambino.

Il dolce, forse, più originale è stato la “cicerchiata”, una sorta di struffoli che, però, prevedono nell’impasto una percentuale di farina di ceci che ha donato loro grande croccantezza, il tutto irrorato da miele a testimoniare l’origine povera del dolce in quanto una volta le classi meno abbienti come dolcificante disponevano solo di questo ingrediente, spesso autoprodotto, a differenza del raro perché costoso zucchero. Ma non finisce qui.

I ragazzi si sono cimentati nella preparazione di un sublime cannolo di pasta fritta ripieno di “crema della nonna”, una densa e profumatissima crema pasticcera. Un dolce pregiato che potevano permettersi le famiglie più benestanti e dunque meno diffuso. Poi il più moderno castagnaccio (il dolce infatti è arrivato nelle case contadine solo negli anni Cinquanta), una sorta di raviolo ripieno di castagne, cioccolato e caffè, decorato da tanto zucchero a velo.

E per terminare la dolcissima (e gustosa) carrellata non potevano mancare le “zeppole bianche”, cugine delle famose  scauratelle cilentane che, a differenza di queste, non prevedono miele, bensì zucchero ed un sentore di cannella, anche se gli ingredienti dell’impasto sono sostanzialmente gli stessi: acqua, farina, buccia di agrumi ed un poco di zucchero.

Ai ragazzi vanno i complimenti per la grande competenza mostrata nella realizzazione dei magnifici dolci e l’augurio che possano perseguire, magari specializzandosi presso altre realtà, la strada intrapresa, in modo da essere protagonisti della rinascita della loro terra.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version