di Antonio di Spirito
Il 18 luglio scorso si è tenuto un convegno sui vini dell’Alta Campania e, più precisamente, di quella parte interna della provincia di Caserta che va verso il confine con il Lazio.
La scelta del luogo, l’Eremo di San Vitaliano, è molto allegorico: si trova nel cuore dei boschi che circondano la città di Caserta, immerso nel silenzio, molto fresco; sembra un ritorno al passato.
Il convegno, fortemente voluto da molti produttori locali trascinati da Massimo Alois, era incentrato sulla viti-vinicoltura dell’Alta Campania; un momento di confronto e di riflessione sul presente e sul futuro di un territorio che non vuole essere semplicemente un brand di racconto, ma che vuole partire da basi solide di studi e ricerca.
Sono stati presentati, infatti, i primi risultati di uno studio, coordinati da Giovanni Piccirillo, giovane enologo e produttore di Caiazzo, effettuato sui terreni del territorio: una zonazione, insomma.
Ho conosciuto e mi sono avvicinato ai pallagrello ed al casavecchia già nel primo decennio del 2000, quando questi tre vini cominciarono a riscuotere consensi a livello nazionale e nell’ottobre del 2012 scrissi un articolo sulle prime prove di consociazione fra i produttori di questi vini per promuovere un prodotto non regolamentato con un disciplinare ed un territorio in senso lato e non limitato alla zona di produzione. Seppure in modo bizzarro, questo era quanto di buono si riusciva a fare con la quasi totalità dei produttori interessati, riuniti intorno ad un progetto.
Anche quel progetto, come altri precedenti e successivi, decadde a causa di divergenze varie. Questo progetto, invece, sembra fondato su solide prospettive e su forti convinzioni collettive.
Il pallagrello è uno dei pochissimi vitigni in Italia che annovera nella stessa famiglia uva sia a bacca nera che a bacca bianca.
Il nome si riferisce alla particolare forma del chicco: “u pallarell”, ovvero piccola palla.
Il pallagrello nero era un vitigno già noto ai Romani che, probabilmente, lo chiamavano “pilleolata” e lo utilizzavano anche in uvaggio per il vino Falernum. Si presume che la sua origine sia nell’antica Grecia.
Questi due vitigni erano nelle grazie del Re Ferdinando IV di Borbone e non mancavano mai nei suoi banchetti ufficiali; al fianco dei più titolati Bordeaux e Sauterne, c’erano sempre i vini “Piedimonte”: così venivano chiamati, data la loro zona di provenienza. Essi furono inseriti nella Vigna del Ventaglio, nei pressi della Reggia di Caserta, che aveva una forma semicircolare: dieci settori di vigna costituiti da filari a raggiera che partivano tutti dal centro, dov’era situato il cancello d’ingresso; ogni settore era identificato da una lapide in travertino con su inciso il nome del vitigno, in rappresentanza di dieci diverse uve del Regno delle Due Sicilie. E solo quei due vitigni erano Campani.
Il pallagrello è un vitigno poco produttivo e molto delicato, soprattutto verso l’oidio; con il tardivo arrivo della fillossera negli anni ’30, come tanti altri vitigni autoctoni della Campania, fu messo da parte dai grandi produttori in favore di piante più resistenti. Rimase in piccole vigne magari dimenticato o confuso con altri vitigni (coda di volpe il bianco e aglianico o coda di volpe nera il pallagrello nero) nella ex provincia di “Terra di Lavoro”, in particolare in provincia di Caserta nei comuni di Alife, Alvignano, Caiazzo, Castel Campagnano, Piedimonte Matese e qualche altro per il Pallagrello Nero, e nei comuni di Caiazzo, Castel Campagnano, Castel di Sasso, Ruviano, Alvignanello per il Pallagrello Bianco. Nel Regno delle Due Sicilie la “Terra di Lavoro” si estendeva fino al Parco Nazionale d’Abruzzo, comprendendo buona parte dell’attuale provincia di Frosinone; ed in alcuni comuni, quali Alvito e Roccasecca, in provincia di Frosinone, si trovano ancora oggi piante di pallagrello.
Negli anni ’90 due amici avvocati di Caserta, con l’hobby delle ricerche enogastronomiche della tradizione, ritrovarono presso alcuni contadini quell’antico vino che avevano conosciuto da ragazzini. Impiantarono una vigna e iniziarono a vinificare in purezza i due pallagrello.
Il tentativo ebbe successo e già nei primissimi anni del 2000 importanti produttori utilizzarono i due vitigni in nuovi impianti: Fu la consacrazione dei due vitigni.
Ma ritorniamo all’ evento e ad alcuni interventi molto interessanti.
Nella prima parte del convegno, moderato da Luciano Pignataro, ha aperto i lavori Cesare Avenia, Presidente del Consorzio Vitica, che riunisce tutti i produttori vitivinicoli della provincia di Caserta, ed ha pronunciato alcune frasi molto importanti:
“La storia del vino e dei vitigni dell’Alta Campania la conosciamo benissimo, ora dobbiamo puntare sempre di più ad una conoscenza che sia a 360°, quindi una conoscenza che parta significativamente dallo studio dei terreni; e questa iniziativa, nella quale sono stati coinvolti la maggior parte dei produttori di pallagrello, mi inorgoglisce come presidente del consorzio, perché io non posso, nell’ambito del consiglio di amministrazione del consorzio, che prendere questo come un esempio virtuoso, una “best practice” che si deve applicare su tutte le attività consortili.
Inoltre, ci tengo a dire che questa iniziativa, che è un’azione che viene dal basso, quindi bottom up, ha ispirato e continuerà ad ispirare le azioni del consorzio che necessariamente sono top down”.
Sempre in questa prima parte introduttiva, c’è stata una interessante narrazione della storia viti-vinicola del territorio, che, per la vastità temporale, è stata suddivisa in tre periodi.
Il Dott. Claudio Calastri, archeologo del Parco Archeologico del Colosseo, ci ha parlato de “Il vino nell’Alta Campania greco-romana”.
“Quella del vino è una cultura antichissima che pervade il bacino del Mediterraneo già dall’età del bronzo, tra il dodicesimo ed il tredicesimo secolo; ce lo dice Omero con l’Iliade e l’Odissea, ce lo dicono i recenti scavi del 2007-2009 effettuati nelle tombe trovate all’esterno della porta di Trebula a Treglia, dove sono stati recuperati degli acini di uva all’interno di anfore del dodicesimo secolo a.C.”
“Questo territorio è particolarmente fortunato dal punto di vista della ricostruzione della storia del vino antico perché viene citato da un’importantissima fonte antica di Plinio il Vecchio, il grande scrittore e storico del I secolo dopo Cristo, che ricorda, nella sua lista dei vini della Campania, i vini Trebulano; e si riferisce, naturalmente, ai vini prodotti nel territorio di Trebula, di Pontelatone, di Formicola e degli altri paesi che ruotano attorno a questa città antica”.
“La produzione del vino è testimoniata, inoltre, dallo strumento che serve per spremere le uve, ovvero il torcular, cioè il torchio, con vite senza fine che viene utilizzato dai romani”.
Il secondo periodo storico, raccontato dal Prof. Nicola Busino, professore associato di Archeologia Cristiana e Medievale all’Università della Campania Luigi Vanvitelli, nonché massimo esperto del patrimonio archeologico del territorio campano, verteva su “Il vino nel Medioevo: il contributo dell’Archeologia”.
Inizia il suo racconto citando una frase di Massimo Montanari che è il massimo esperto storico del cibo in generale con riguardo al Medioevo, il quale sostiene che “Non si può parlare di vino senza discutere di molte altre cose che rimandano all’economia ed alle forme produttive, ai rapporti di proprietà, all’organizzazione sociale, al diritto come nucleo di ordinamento e di interpretazione della realtà”.
“Nell’antichità avevamo grossi complessi residenziali con grandi ville alle quali facevano capo importanti produzioni di vino e prodotti di genere agricolo. Per quanto riguarda l’alto medioevo, siamo a conoscenza che gli enti monastici, in particolare San Vincenzo al Volturno, in qualche modo gestiscono una lunga serie di contratti, un lungo elenco di vineas, di vigne, di terreni utilizzati per la produzione del vino; sono piccoli produttori che lavorano in questi territori e naturalmente producono vino.
Non è molto chiaro il rapporto di proprietà, nel senso che quando parliamo di un grosso complesso monastico, parliamo di un grosso cenobio che è proprietario di queste terre e che incamera i proventi da queste vigne.
Non è chiaro come siano entrati in possesso di questi comparti fondiari, ma questo rientra un po’ nelle grandi tematiche di studio di come la grande proprietà del tardo impero romano sia confluita verso questi altri soggetti che a un certo punto cominciarono a popolare il territorio.
Quello che cambia, però, nel Medioevo, sono soprattutto i meccanismi di diffusione del prodotto vinario”.
Il terzo periodo è stato affidato al Dott. Tommaso Tartaglione, presidente della provincia di Caserta, dal titolo: “Il vino dal periodo Borbonico ai giorni nostri”
“Sappiamo che questi vini erano venduti all’estero, cioè negli altri Stati italiani. È il caso ad esempio della Repubblica di Genova.
“Per quanto nel periodo borbonico non fosse ancora considerato il top dei vini, il Pallagrello veniva comunque servito sulla tavola di un re e grazie a ciò, poté essere assaggiato da tantissimi altri monarchi in visita a Napoli, da ambasciatori, diplomatici, eccetera.
La prima citazione del Pallagrello viene fatta risalire al 1729 grazie a una poesia di un letterato napoletano, Niccolò Giovo. Però lo studio dei documenti d’archivio hanno fatto emergere nuove informazioni che retrodatano la citazione appena riportata.
Cito solo due esempi che considero emblematici.
Il primo caso lo collochiamo nel 1727, due anni prima: l’abbazia di Montecassino, dopo la distruzione subita a causa del terremoto del 1349 e la conseguente ricostruzione del 1366, si avrà la terza consacrazione, un evento molto importante, economicamente coperto dalle cospicue donazioni dell’imperatore del Sacro Romano Impero Carlo Sesto d’Asburgo. Per la consacrazione i monaci benedettini scelgono il personaggio più importante del tempo: il pontefice Papa Benedetto XIII, Papa Orsini, il quale si reca nell’abbazia di Montecassino e per il suo soggiorno, insieme alla sua numerosa corte, e per i solenni festeggiamenti i monaci benedettini decidono di acquistare 36 barili di vino Pallagrello e 216 barili di vino ordinario.
Secondo caso: su alcuni documenti storici degli anni 30 del 1700 della città di Sessa Aurunca e dei suoi territori, che corrisponderebbe oggi praticamente ai comuni di Sessa Aurunca, Falciano del Massico e Carinola, c’è l’elenco dei vitigni impiantati sulle falde del Monte Massico, famoso per il Falerno: oltre al falerno stesso, ci sono i due tipi di pallagrello”.
La Dott.ssa Carla Scotti, pedologa, ha illustrato la “Presentazione della Zonazione dell’Alta Campania”.
“La pedologia è una scienza nuova, ed ha lo scopo di studiare il suolo fino a 1-2 metri di profondità o, comunque, fino a dove c’è la roccia o fino a dove c’è l’acqua. Quindi riusciamo a capire dove vanno le radici delle piante, come si muove l’acqua nel terreno e l’obiettivo è quello, sia di conoscere il suolo per conservare il territorio e proteggerlo, sia per valorizzare i prodotti, il cibo che viene prodotto nei nostri suoli ed anche per dare consigli di buona gestione.
Per questo progetto ho lavorato in particolare con Giovanni Piccirillo e Alessandro Fiorillo (ovviamente insieme a Massimo Alois ed a tutti i produttori dell’Alta Campania) con i quali abbiamo condiviso lo studio del suolo, raccogliendo informazioni sul suolo, studiando i vari strati che compongono il terreno, capirne l’evoluzione, la storia, capire anche la relazione che il singolo suolo può avere con la pianta. E definire quali possono essere le considerazioni di gestione agronomica migliore. Abbiamo individuato 8 tipologie di suolo; ma la variabilità che abbiamo trovato si può verificare nella pedoteca esposta”.
La Prof.ssa Paola Piombino, professore di ricerca alimentari alla sezione di Scienze della vigna e del vino del Dipartimento di Agraria della Federico II, ha illustrato i “Risultati degli studi sugli aromi dei vitigni autoctoni”.
“Perché parlare di aromi? Perché sicuramente l’aroma del vino è qualcosa che diventa molto importante per il consumatore, non solo per una questione di gradevolezza e di appagamento dei sensi, ma anche perché, tra le caratteristiche del vino, gli aromi che ritroviamo in bottiglia sono riconducibili all’uva da cui è stato ottenuto quel vino.
Avere una conoscenza dettagliata ed approfondita sugli aromi del vino significa anche avere delle basi di conoscenza per poter sviluppare un’enologia varietale, cioè un’enologia che sia in grado di far esprimere al massimo tutte le potenzialità di quel vitigno e, quindi, di legare quel vitigno e quel vino al territorio”.
Sostanzialmente sto parlando del progetto D-Wines; D-Wine sta per Diversity of Italian Wines. L’obiettivo è proprio quello di studiare e valorizzare la diversità dei vini italiani e grazie a questo progetto sono oggi disponibili tante pubblicazioni scientifiche sui diversi vitigni italiani, che, per alcuni di essi (tra cui il pallagrello) fino a poco tempo fa non erano presenti dati nella letteratura scientifica internazionale.
Studiando i profili sensoriali di 246 diverse etichette di 18 vini bianchi italiani, si evince ognuno di essi si colloca in una dimensione differente: c’è quella che è particolarmente fruttata, una che invece va verso le note floreali e dolci, un’altra che va verso le note che sono più di frutta secca e di tostatura ed un’altra ancora che va verso delle note che ricordano quelle del Sauvignon Blanc, quelle che noi in gergo chiamiamo le note tioliche.
Il pallagrello si colloca nella dimensione occupata da vini caratterizzati da note dolci, tipo il miele, ma anche di frutta secca disidratata e di tostatura. In particolare, il pallagrello si colloca in un a dimensione olfattiva con l’albana, con il cortese e non molto distante dal pinot grigio.
Abbiamo osservato, inoltre, che il quadro olfattivo ed aromatico si compone nella fase immediatamente successiva alla fermentazione alcolica ed è dovuto in modo particolare agli alcoli volatili piuttosto che agli esteri e agli acidi. Sono proprio quelle molecole volatili che producono le note floreali e fruttate nei vini. Quindi, ciò che accade in fermentazione è di fondamentale importanza, perché la fermentazione potrebbe arricchire di aromi anche in modo particolare un qualsiasi vino”.
Successivamente c’è stato una interessante tavola rotonda, moderata dalla giornalista Lidia Luberto, alla quale hanno partecipato due produttori delle Langhe (dove la zonazione è già realtà) e due produttori dell’Etna.
Paolo Manzone, con azienda a Serralunga d’Alba, scelse di indicare la zona di produzione in etichetta sin dal 1999: è un valore imprescindibile; anche se la Menzione Geografica Aggiuntiva, quella stabilita da disciplinare, è arrivata solo nel 2010.
Giorgio Conterno, con Azienda a Monforte D’Alba, testimonia che, con la lunga tradizione dei “cru” in Langa, era inevitabile l’identificazione delle “Menzioni”.
Distinguere non significa separare; bisogna fare sistema ognuno con la propria identità: è il territorio che deve vincere.
Salvo Foti, de “I Vigneri”, e Vincenzo Lo Mauro (Passopisciaro) hanno fortemente manifestato la necessità di una zonazione, di studi approfonditi sul territorio e di regole.
La sintesi appassionata di Massimo Alois racchiude il valore intero di questo incontro: “Questo territorio merita rispetto; ognuno di noi si deve far carico dei primi 500 metri a lui vicini, studiarlo a fondo, averne conoscenza e consapevolezza”.
Penso che questa sua determinazione, combinata alla tenacia ed alla preparazione professionale di Giovanni Piccirillo e Alessandro Fiorillo, porteranno ai risultati sperati: l’istituzione di una Denominazione d’Origine ed identificazione di sottozone.
A distanza di 13 anni dall’altro evento, ho provato la piacevole impressione che sia stata imboccata la strada giusta, quella del non ritorno!
Molto forte e sentita è stata la partecipazione della quasi totalità dei produttori dell’Alta Campania ed hanno offerto in degustazione i loro vini accompagnati da una pasta e patate, piatto tipico della cucina napoletana preparata dallo chef Antonio Papale, una selezione di prodotti tipici locali curata da Michele Gambero del Caseificio Antica Casella e da Peppe Iacoelli, mastro casaro di Sancti Petri, che ha portato formaggi e latticini freschissimi, ed un assaggio degli oli dell’Oleificio Ragazzino De Marco, curata da Giovanni De Marco.
Qui di seguito riporto l’elenco delle Aziende Vinicole, raggruppati per zona di produzione.
Canestrini Wine Castel Campagnano
Cantina Di Lisandro Castel Campagnano
Tenuta Ievoli Squille
Tenuta Pezzapane Alvignanello
Tenuta Tralice Alvignano
Alepa Caiazzo
Calatia Terra Antica Caiazzo
Masseria Piccirillo Caiazzo
Teresa Mincione Caiazzo
Vestini Campagnano Conca della Campania
Il Verro Lautoni
Sagliocco Formicola
Sclavia Liberi
Alois Pontelatone
Le Fontanelle Pontelatone
Palmieri Domus Vinaria Pontelatone
Scaramuzzo Pontelatone
Vigne Chigi Pontelatone
Viticoltori del Casavecchia Pontelatone
Della Valle Jappelli Caserta
Cacciagalli Teano
La Masserie Bellona
Terre Dell’Angelo Alife
Dai un'occhiata anche a:
- Garantito IGP | Pievi: il Nobile tra ieri, oggi e domani
- Bolgheri DOC Bianco Ornellaia Bianco 2021
- Una maison de charme di campagna e tanta passione familiare per la terra e per la buona tavola | Casa Lerario
- La pizza a ruota di carro di Gino Sorbillo a Roma Termini
- Donna Vittori Borgo Agricolo, una comunità internazionale che parla il linguaggio dell’amore
- Giu le zampe da Vissani e Arnaldo
- Vite Colte, le migliori annate a confronto tra Barolo ed Alta Langa
- Pino di Stio Rosso Paestum Igp 2011 San Salvatore