Alto Adige/Sud Tirol: il Jasmin e la musica che gira intorno

Pubblicato in: TERZA PAGINA di Fabrizio Scarpato

di Fabrizio Scarpato

La prima cosa che vedi è il paesaggio. Le valli disegnano l’Alto Adige come le nervature di una foglia, nette e pulite, increspate da campanili e abbazie, ravvivate della linfa delle attività agricole, colorate di frutti e di boschi, brillanti di vino, profumate di latte.

Basta vedere i lindi vigneti a perpendicolo intorno all’Abbazia di Muri Gries per intuire, bastano le distese di mele che da Merano risalgono la Val Venosta per capire, basta aggirarsi in un mercato per afferrare la forza del legame tra arte, artigianato, agricoltura e paesaggio che caratterizza il Sud Tirol, in una sintesi sin troppo nitida del senso di cultura popolare.


Ripenso al Natale a Klausen: musiche e voci sotto gli erker decorati nei toni pastello, lane cotte e dolci speziati, tra fuochi e fiati condensati dal gelo.

Piumini e loden, cappelli e tabarri si cullano lenti alle gighe medievali; sotto il grande albero cupi fabbri battono il ferro, accanto al fuoco le donne intrecciano rami profumati.

Ténere lanterne di carta disegnano poetici percorsi, caccia a un tesoro ghiacciato, per mio goloso convincimento nascosto, forse, tra gli eleganti tavoli del Jasmin, tra candele di cristallo e caldi pannelli di legno incorniciati da luci soffuse. Quasi una sala da musica.

Si scrive Festival del Gusto in Alto Adige, si legge di una comunità che ha saputo coltivare la diversità: di lingue, di agricolture, di tradizioni. Osserva Carlo Petrini come la “diversità, da quella biologica naturale a quella culturale umana, sia irrinunciabile, poiché definisce le identità, permette loro di crescere insieme al territorio e originare il meglio di ciò che si ha a disposizione”. Rispetto e conoscenza, “integrazione ininterrotta tra uomo e natura” che è diventato non solo spinta economica, evoluzione tecnologica, ma anche e soprattutto un legame stretto col proprio mondo, con la propria terra.

Nella sala da concerto calda e ovattata, giovani donne si muovono silenziose, carezzevole l’inflessione della loro parlata: ti aspetti che d’improvviso una di loro possa accomodarsi lì accanto e, con austera eleganza, imbracciare un violoncello. Note calde e profonde, a trattiardue, d’improvviso dolcissime. La musica irrompe languida: semi di sambuco ed essenza di pomodoro, esotismo e nostalgia, caccia e oceano, prati normanni e cervi screziati di pino mugo.

Scarti dell’archetto suggeriscono suoni del mondo, traiettorie di sapori tra nord e sud; il crine poi si sfrangia su impervi aromi coloniali dispersi tra oriente e occidente. Aeree vibrazioni, straniamenti sensoriali: Martin Obermarzoner come Tan Dun.

Capacità di volare, voglia di mescolare e contaminare, immedesimazione curiosa, la stessa che già a Egna-Neumarkt mi fa sintonizzare sugli jodel tirolesi.

Nulla di folkloristico però, tanto da poter sempre indovinare un sentimento di appartenenza, anche se qualche volta con barlumi di eccessivo e schematico rigore: un appoggio sicuro, una consapevolezza che si radica indietro nel tempo, fino a ritrovare e delineare le sensazioni più personali, che scopri esser di tutti.

Il cibo non come estemporanea e turistica espressione di una località, ma come appassionato racconto di una comunità.

D’improvviso realizzi che non basta un frutto della passione per dimenticare il freddo delle valli e il calore di una stube, per disperdere il sapore del latte e il profumo delle spezie, per allontanarsi da se stessi. Il crescendo di dolcezza trova equilibrio nella seducente trasfigurazione di una pera, un frutto che è ritorno a casa, se mai ce ne fossimo allontanati.

Il cuoco ti guarda piegando leggermente la testa di riccioli addomesticati in una coda di cavallo, la leggera increspatura delle sopracciglia sembra tradire un interrogativo: hai sparato una tremenda fanfaluca nel dirgli che il suo concerto era scritto su uno spartito di sensazioni affatto territoriali.

Cogitabondo, torni nelle strade, sotto i bovindi, tra le musiche e le risa. Basta allora fermarsi vicino a un fuoco a bere qualcosa, per afferrare quella cascata di note: tra le mani un succo di mele, caldo.

Jasmin, Ristorante Vital – Hotel Bischofhof – Chiusa/Klausen (Bolzano)

Carlo Petrini – Il sapore del Nord – Le Guide di Repubblica

Festival del Gusto Alto Adige – Bolzano, 2.-5. giugno 2011


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