Fondi Europei, il caso Caputo-Eataly: Farinetti non può decidere come spendere i soldi della Campania

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

Fondi Europei il caso Caputo-Eataly Farinetti. Ieri il Mattino ha pubblicato una intera pagina su un caso incredibile: l’esclusione della prima azienda da un progetto finanziato con soldi pubblici gestito da UnionCamere Campania. Ecco l’intervista rilasciata da Antimo Caputo.

Ha l’amaro in bocca, Antimo Caputo: gira e rigira la lettera con la quale gli è stato appena comunicato da UnionCamere Campania che, a insindacabile giudizio di un privato a cui è stata consegnata arma e bagagli la promozione della ricchiezza agroalimentare campana, non può partecipare.

“Voglio subito precisare che il nostro Molino lavora da tre generazioni e non ha mai ricevuto una soldo pubblico per la promozione in Italia e all’estero. Fatturiamo 50 milioni di euro l’anno e facciamo da noi. Alla luce di quanto è accaduto almeno non ci arrabbiamo”.

Come è possibile escludere la farina più diffusa tra i pizzaioli napoletani quando i soldi pubblici sono gestiti da campani?
“Non voglio fare polemica personale. Dico solo che siamo in una logica perversa burocratica. Negli enti pubblici tutti sono sotto stress perché in un modo o nell’altro i soldi europei  devono essere spesi. Giocano fattori totalmente estranei alle vere esigenze del mondo produttivo”.

Quali?
“La Regione prima aveva un ente, l’Ersac, che faceva promozione. A torto o a ragione, dopo 20 anni in cui si era formato un bel know how fu sciolto ma i risultati di questi anni non mi sembrano brillanti. Quello che manca, infatti, è una cabina di regia che analizzi davvero quel che serve e quello che è utile fare. Manca cioè una direzione politica nel senso nobile del termine, una capacità di lettura e di intervento. Invece si va avanti a tentativi. L’importante è che le carte poi stiano a posto”.

Cioè?
“Si orecchia qualche nome famoso in tv o nei siti, lo si aggancia, gli si danno un sacco di soldi e tutto finisce lì. Ogni tanto mi chiama qualche buyer invitato in queste occasioni: per loro non sono occasioni di lavoro, ma una vacanza perché vengono messi in contatto con aziende talmente piccole che a volte non possono coprire neanche il mercato di Napoli”.

Il discorso dei grandi contro i piccoli?
“Per carità: i piccoli artigiani sono la luce dei miei occhi. Devo a loro se la pizza sta crescendo tanto. Ma se si devono investire soldi sui mercati mondiali oltre che la qualità ci vogliono i numeri”.

Eataly non è un luogo di prestigio?
“Sicuramente sì, Farinetti è un bravo imprenditore che fa gli interessi suoi e del Piemonte parlando dell’Italia. Obbedisce a interessi legittimi che spesso non sono quelli della Campania, perché vende gli spazi ed è in compartecipazione o produttore di aziende che producono vino, acqua, farina e tanto altro ancora. Che lo faccia un privato va benissimo e gli auguro ogni successo. Ma se io devo spendere soldi pubblici destinati alla nostra regione è giusto ragionare con chi obbedisce a logiche di territorio e non private!”.

Lei ha una esperienza enorme di promozione all’estero. Secondo lei cosa davvero serve all’agroalimentare campano?

“Bisogna fare analisi di mercato e capire dove siamo forti. Lì insistere. Per esempio, negli Usa sarebbe stato molto più sensato fare un corner nella catena All Food dove tanti prodotti italiani sono presenti. Cito All Food, ma ci sono decine di altri esempi. Certo l’ultima cosa da fare è andare in posizioni di obbedienza in uno spazio dove i nostri concorrenti diventano altri prodotti italiani”.

 

Il Mattino del 10 agosto 2014


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