Benvenuto Brunello 2025: sei etichette tradizionali da non perdere

Pubblicato in: I vini da non perdere

di Luca Matarazzo

Timori, speranze, progetti e disillusioni nell’areale del vino più famoso al mondo. A che punto siamo a Montalcino?

L’anteprima Benvenuto Brunello 2025 porta con sé, come ogni anno, dei quesiti che abbiamo cercato di dipanare tra i banchi d’assaggio o nei calici, durante le sessioni degustative riservate alla stampa di settore.

Per dovere di ospitalità, non possiamo che iniziare dall’intervista a Giacomo Bartolommei, presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino ed uno dei titolari dell’azienda di famiglia Caprili.

«Indubbiamente le esportazioni hanno registrato una flessione dopo i dazi introdotti negli USA, dato però in via di miglioramento nella stagione autunnale. Una congiuntura difficile che fa soffrire tante categorie del made in Italy, non solo il vino – prosegue Bartolommei – Non si tratta di una questione di prezzi, quanto di un riposizionamento del mercato e della relativa recente concorrenza con Bordeaux. Bene il Rosso di Montalcino che registra un + 29% di vendite su base annua con 4 milioni di bottiglie che potrebbero presto aumentare visto l’ampliamento degli ettari. Una nuova valvola di trait d’union generazionale che porterà anche spinta al fratello maggiore Brunello di Montalcino».

Parole sentite e sincere, che apprezziamo anche in virtù di essere il rappresentante delle nuove leve, a poter dettare le linee guida per il futuro. Restano sul tavolo alcuni temi parzialmente risolti. Il primo di essi consiste nelle discussioni da lana caprina tra modernisti e tradizionalisti, in un mondo “liquido” in cui tutto cambia rapidamente. L’invenduto che riempie le cantine di molti produttori a Montalcino è una novità assoluta per la denominazione, che aveva vissuto tempi d’oro negli anni precedenti la Pandemia. Questo è il vero dilemma scriverebbe Shakespeare.

Se ciò rappresenta un relativo problema in termini di stoccaggio, soprattutto per i grandi imbottigliatori, l’effetto si fa sentire su chi di bottiglie ne produce in numero esiguo e non è attrezzato logisticamente ed economicamente ad attendere momenti migliori. La rapidità dei giudizi sulle annate che si susseguono rischia inoltre di far cadere nel dimenticatoio le annate non smaltite, con un ridimensionamento inevitabile in termini di produzione, prezzi e mercati.

Come correre ai ripari? Sembra impegnativo quanto indovinare le facce del cubo di rubik. Astenendoci da qualsiasi proposta (sono sempre gli attori in gioco a rischiare), giusto pensare al gancio del Rosso di Montalcino, abbordabile come qualità-costi anche per le nuove generazioni. Se bisogna immaginare un target price calmierato che non segua le logiche speculative della domanda e offerta vissuta da
altre tipologie, l’entry level del territorio può divenire presto il “fieno in cascina” necessario alle maggiori attese per smaltire l’arretrato.

In alcuni casi come questi, il vino è divenuto  infatti un prodotto del luxury, persino sotto attacco da istituzioni politiche e dai mass media e spesso sacrificabile nelle scelte dei consumatori. Ma il paragone con il livello medio dei vini di Bordeaux regge poco rappresentando due settori molto diversi non riunibili solo per un prezzo concorrente. Per il canale Ho.Re.Ca., valgono le recenti parole di Gabriele Gorelli – durante l’evento Be.Come 2025 – a proposito del corto circuito nelle carte dei ristoranti gourmet con ricarichi oltre le righe per compensare le perdite pregresse.

In ultimo, last but not least, su 205 produttori associati imbottigliatori e un totale di 214 soci del Consorzio, hanno presentato i campioni solo 124 aziende, con qualche defezione che si è fatta sentire. Speriamo di non leggere nel presente numero un campanello d’allarme alla tenuta dello spirito unitario tra le varie componenti sociali, che ha portato invece ai vertici mondiali l’enologia di quest’angolo di Toscana.

Riflessioni a parte, le note positive che abbiamo davvero rilevato riguardano una qualità che non conosce più sbavature ed un ritorno agli schemi stiliti stilistici e alla lettura dell’uomo nella 2021, rispetto alla lineare 2020 meno “tecnica”. Uve sane, gestione corretta degli impianti e sapienza nell’uso del legno la fanno da padrone per vini godibili già ora e in futuro.

Abbiamo fatto una piccola sintesi di storie e visioni, da nord a sud, da est a ovest, di Montalcino. Ecco il nostro resoconto:

Col d’Orcia e la storia dei Marone Cinzano che qui hanno piantato radici antichissime. Francesco Marone Cinzano, da anni testimonial della Fondazione Limpe contro il Parkinson, ha raddoppiatogli sforzi puntando sui figli Alberto, appassionato di birra con il suo micro birrificio agricolo “Driade” dedicato nel nome alle muse dei boschi, che utilizza solo ingredienti prodotti nei poderi aziendali e Santiago, che prosegue nel progetto innovativo dei “Cru itineranti” con uve scelte ogni anno da particelle diverse. Ben avviata anche la nuova azienda Conti Marone Cinzano per vini eleganti e rappresentativi.

Maté Winery rappresenta l’amore tra Ferenc Máté, autore di best-seller internazionali, e sua moglie pittrice Candace, trasferitisi da New York nel 1990 a Montalcino, acquistando un’azienda ormai abbandonata da anni. Circondato da boschi e terreni incolti si trova un antico convento del decimosecolo che è diventato ciò che oggi è la loro casa. Ben 20 gli ettari di bosco utili a contribuire ad un clima mitigato durante le calure estive. Le uve per il Brunello provengono da tre vigneti vicino la cantina: Chiesa, Casa e Lago. Impianti del 1998 e ‘99 a 330 metri su suoli argilloso-calcarei con inserti fossili. Quelli più recenti di vigna Sorgente e Capriolo si trovano in alto a 440 metri su roccia galestrica, importante per la selezione.
Concezione borgognona, con un nuovo progetto in arrivo da Sangiovese allevato ad alberello.
Fermentazione in acciaio, dove viene svolta anche la malolattica e successivo invecchiamento in botti grandi e tonneau. Quella via di mezzo che è divenuta ormai una tradizione conclamata.

Podere Giardino, è il buen retiro di Giuliano Dragoni, mezzo secolo di vita trascorso proprio a Col d’Orcia e poderi prima in fitto e poi acquistati in parte fino al raggiungimento della soglia di 4 ettari e mezzo tra Sant’angelo in Colle parte alta di Col d’Orcia. Inizialmente la famiglia Dragoni produceva vino per l’affascinante agriturismo di campagna; poi le bottiglie complessive sono aumentate fino alle attuali 5000 tra Rosso e Brunello di Montalcino, con possibilità di espansione ulteriore. Anche qui si utilizzano botti grandi da 15 ettolitri per vini che puntano al nervo dell’acidità e dei richiami floreali con tannini cesellati e salmastri.

Giuseppe Gorelli è rinato metaforicamente nel 2018, dopo la precedente vita enologica a Le Potazzine. Per lui non aver vendemmiato per la prima volta in 40 anni durante la 2017 è stato un dolore talmente forte da spingerlo a partire da zero con un progetto tutto suo. L’amicizia e l’aiuto di Maurizio Lambardi – Canalicchio di Sotto – ha aiutato Giuseppe a ritrovare la fiducia smarrita con i primi 2 ettari in affitto e senza neanche una zappa per lavorarli!
Ora sono circa 6 di cui 2 in proprietà, con l’idea di costruire finalmente la cantina.
Al momento vinifica in piccoli locali a Podere Cerrino.
Lo stile? fermentazioni spontanee in botti da 50 hl per il Brunello ed il Rosso di Montalcino e rese non superiori a 60 quintali in vigna.
“Eleganza con tannino equilibrato e succo” è l’eterno motto di Giuseppe che realizza anche una rara Riserva, di cui la prima vintage è datata 2019.

Tassi è una piccola azienda relativamente giovane, voluta fortemente dal padre e dal nonno di Fiamma, terza generazione di agricoltori. Prima vendemmia nel 2004 su 7 ettari a Castelnuovo Abate. Vigne storiche piantate da Giuseppe Tassi (il nonno di Fiamma) prospicienti il castello di Velona. Anche una vigna dietro l’Abbazia di Sant’antimo e la più giovane, del 2015, di fronte alla Tenuta il Greppo di Biondi Santi. Utilizzano cemento e  legni grandi per i cru, con parte di fermentazione ad acino intero.

Castello Tricerchi è passato alla famiglia Squarcia a metà dell’800. Negli anni ’90 del secolo scorso, Emanuele, zio di Tommaso, fonda l’azienda vitivinicola. Il nipote subentra 10 anni fa e rivoluziona ogni cosa con il supporto di un esperto del sangiovese come Maurizio Castelli. Zona nord al limitar del confine sulla strada che va a Siena. Lieviti spontanei e parte di grappolo intero in parte, con maturazioni in botti grandi di rovere di Slavonia. E che non vengano chiamati“modernisti”…

 


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