Canale (Cn). La cucina piemontese di Davide Palluda. Ristorante L’Enoteca

– del Guardiano del Faro –

Un bravo chef non deve solo saper cucinare, certo,  deve innanzitutto saper cucinare, deve saperlo fare interpretando i diversi temi da svolgere in cucina, destreggiarsi nelle diverse “partite” in cui l’organizzazione di cucina è divisa per avere ordine e sequenza logica. Deve sapere individuare quali siano i suoi collaboratori più inclini ad un certo tipo di lavoro, definendo ruoli e incarichi.

Mi piace ricordare un episodio vissuto in cucina mentre collaboravo con Fabio Barbaglini, alle prese con una nuova brigata di cuochi (cinque) di cui conosceva poco o nulla, e allora diede in mano ad ognuno di essi un coltello e uno zucchino e chiese loro semplicemente di affettarlo.

Bene, alla fine indicò uno di essi e lo incaricò della partita relativa a pane e pasticceria. Perché?

Perché quel ragazzo aveva tagliato lo zucchino con maggior precisione e perizia degli altri, e in pasticceria il rigore e la precisione sono la prima cosa da imparare.

Ancora di più uno chef può fare, può individuare il suo secondo e dargli delega e responsabilità.

E a quel punto può anche permettersi di intrattenere attività collaterali diverse dallo spadellare tutti i giorni a contatto con i suoi collaboratori, può fidarsi, può contare sulla sua brigata, come qui, a Canale, dove anche senza Davide Palluda al piano, abbiamo mangiato una sequenza di piatti di radice territoriale tradizionale di grandissima classe.

Il martedì è giorno di mercato a Canale, meglio così, ci si fa due passi d’ambientamento attraversando la centrale via Roma in direzione dell’Enoteca. E se è ugualmente ancora troppo presto per pranzare ci sarà la possibilità di sedersi nell’Enoteca sottostante al ristorante per un bicchiere di Arneis o di Favorita, servito con ottimo formaggio di Bra e grissini friabilissimi.

Al piano di sopra si aprono due porte, due possibilità alternative di relax : la prima all’interno dell’immacolata sala, dove solo le pennellate di nero delle poltrone interrompono la continuità di bianco, ripetuta all’infinito, fino a riprendere anche il colore dei petali delle rose sui centro tavola.

La seconda in veranda, con tono relativamente meno formale, con vista sul cortile sottostante, prendendo l’aria fresca di fine estate che filtra dai vetri, insieme ai riflessi della luce che comincia ad inclinarsi come d’autunno.

La carta non mi sorprende, anzi, mi rassicura, perché indirizzata sul territorio, ben piazzata con i piedi a terra, sapendo però che Palluda interpreta il repertorio , lo attacca, non lo subisce.

Ne vedo poco o niente di pesce in carta, salvo nella proposta verbale del valido sommelier che si alterna al tavolo con Ivana per i dettagli relativi alla scelta dei piatti e dei vini.

Già dagli accompagnamenti previsti con l’aperitivo si capisce che qui le tecniche basilari sono applicate con mestiere e disinvoltura, perché il magatello di vitello tonnato è cotto/non cotto uniformemente rosa e la salsa è quella che ti aspetti, mentre il fritto d’acciughina non è banale perché farcita di salsa verde, e le sfogliatine al parmigiano si sbriciolano in mano in una nuvola di sapore. Anche il risotto soffiato si sbriciola piacevolmente in bocca, mentre di altra consistenza è la perfetta spuma di patate affumicate che nasconde la minuta giardiniera giustamente agra.

Il prosciutto arrosto della tradizione sa di buon maiale, un po’ magro e un po’ grasso, ma è la focaccina al rosmarino e soprattutto la splendida giardiniera di verdure  a far sobbalzare per intensità e fragranza, grossolana solo d’aspetto e di taglio, come si faceva una volta, ma l’aromatizzazione e la grinta  e i colori è sono tutte frutto della tecnica di oggi.

Gli agnolotti del plin al sugo d’arrosto valgono il viaggio perché ogni dettaglio di questa preparazione classica  spesso approssimata, qui invece segue un protocollo rigido e preciso.

 

La sfoglia è elastica e sottile il giusto, il ripieno è giustamente fibroso ma senza il minimo pezzettino fastidioso per consistenze spiacevoli e poi la salsa signori, che salsa! Un sugo d’arrosto da leccare il piatto. E si, le salse fanno sempre la differenza.

Invece il risotto è mantecato più pacatamente, si sente l’intensita del parmigiano stravecchio, si sente il fondo di stinco, si apprezza la cottura fermata al punto giusto ma sono i porcini che quest’anno ovunque li ho mangiati non sono stati all’altezza . Una estate scarsa per i porcini, speriamo meglio in autunno.

Mi piace questa cottura non esasperata del piccione, si rosa, ma non sanguinante, e neppure al punto di diventare “fegatoso” di sapore, con la su pelle tartufata, la base di legumi d’appoggio (ceci) e il contrasto amaro dell’indivia brasata.

Mi piace anche la consistente carne d’agnello e il suo logico contorno, agnello e ratatouille, che volete di diverso ? Una nota territoriale autunnale ? Bene, ecco la caratterizzante foglia di vigna a profumare di vendemmia un piatto chiuso di nuovo con un fondo profumato e concentrato.

Stiamo viaggiando con il cambio automatico attraverso una tranquilla pausa pranzo che viene ravvivata da un capolavoro : Il Meglio del Coniglio.

 

Giù il cappello di fronte a tanta meraviglia di gusto, di senso estetico, di senso della misura e centratura di ogni singolo sapore e di ogni singola cottura. La golosa costoletta panata, la terrina marinata, la coscetta arrostita, la sella a bassa temperatura , il rognone da una parte, il fegatino dall’altra. Non si sa più dove volgere lo sguardo. E poi i perfetti accompagnamenti vegetali stagionali e tradizionali, piccoli giochi ricchi di colore, di profumo, di gusto. Il pomodorino farcito, i cubetti di melanzana arrostita, il piccolo zucchino e la dolce cipollina, entrambi farciti e passati in forno a fondere profumi e consistenze che arrivano alla finezza dei punti di salsa di peperone arrostito. FAN-TAS-TI-CO !

Niente dessert, non si può, la cucina territoriale è buona e appagante, ma non ti concede troppo spazio all’immaginazione di un dessert. C’è l’evoluto Barolo Falletto 1995 di Giacosa da terminare, c’è la piccola pasticceria da affrontare, con l’aiuto di un concentrato Porto Vintage 1998 Quinta do Vesuvio. E infine c’è anche un delicato conto da pagare, per nulla fuori posto, come tutto il resto qui, anche se lo chef non c’è . Non c’è ma non si vede.  Bravo Davide, uno chef bravo lo dimostra anche in sua assenza.

gdf

Canale (Cn)
Via Roma 57
Tel. 173.95857
www.davidepalluda.it
Sepre aperto. Chiuso lunedì a pranzo e domenica


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