Carcioffoliata, carciofolata. Lunedì in Albis 2010 ad Acerra e la Madonna delle Galline a Pagani

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carciofo mammarella del bosco alla brace

Lunedì in Albis. Pasquetta.
Nella Casa di campagna di amici per onorare il primo raccolto dei carciofi d’o Vuosco. Le mammarelle.

Discussioni da cenacolo letterario con i padroni di casa: “Ma che cosa è, dunque, realmente il carciofo?”
“E’il bocciolo di un fiore che non giunge a maturazione colto giusto in tempo per essere cucinato e mangiato.”
“Se la lasciassimo abbandonata nei campi diventerebbe simile ad una margherita azzurra e al cardone selvatico: ecco perché Plinio lo chiamava Cardus e gli Arabi cardo fiorito!”
“ Sai perché si dice mammarella la prima che fa capolino tra marzo e aprile?”

“ Ma perché darà origine a figli e nipoti fino a maggio”.
“ Quindi femmina è il sesso di questa pianta fertile e prolifica.”
“ Guarda che quel temerario e sfrontato abate Galiani nel suo Vocabolario del Dialetto Napoletano ci ha scherzato sopra. Leggi:
“Carcioffola. Carciofo, in francese artichaut.
Si suol dagli amanti dare per tenerezza di affetto questo soprannome alle loro ragazze. E nelle loro lascive immaginazioni hanno fondato sulla natura istessa delle cose questo traslato e questa rassomiglianza. Durerà, dunque, finché dureranno le fanciulle e i carciofi.”

“ Ma Carcioffolà è anche la canzone di Eduardo Di Capua e Salvatore Di Giacomo: “E ndanderandí! E ndanderandá! che bona figliola Carcioffolá! ”
“Alla brace, dunque!”
Come è d’uso qui, in questa campagna napoletana, piuttosto che altrove.
Sì alla brace, come consigliava già nel 1781 Vincenzo Corrado, letterato e cuciniere dei principi e dei potenti napoletani, nel suo libro: Del Cibo Pitagorico ovvero erbaceo per uso de’ nobili e de’ letterati:
“ Delli Carciofi alla Comune: Tra foglia e foglia dei Carciofi si tramezzano acciughe trite, aglio, timo, sale e pepe; si condiscono con l’olio e si fanno cuocere tra le braci, oppure nel forno; e caldi si servono.>>
E così confermava nel suo Vocabolario Domestico Napoletano Toscano nel 1841 Basilio Puoti:
“Carcioffola. Pianta, il cui frutto si mangia fatto in varie vivande, e comunemente arrostito sulla brace, con entrovi olio, sale, pepe e spicchi d’aglio.”

Che bella carcioffoliata.
Domani sarà un altro giorno.
Tommaso Esposito

Uno dei cibi da strada che sopravvive all’omologazione è il carciofo alla brace. Percorrere in questi mesi la Campania da Sud a Nord significa visualizzare la metafora del passaggio dai campi al consumo, dalla campagna alla città, dallo spazio naturale allo spazio urbano. Nella piana del Sele sono innumerevoli i punti vendita improvvisati dove si offrono i carciofi in vendita.
Poi, superata Cava ed entrati nell’Agro Nocerino-Sarnse, agli angoli delle strade si trovano bracieri dove si cuociono i carciofi. E poi via a salire nei paesi del Vesuviano fino ai quartieri sud di Napoli.
La Campania è la principale produttrice di carciofi.
Il lunedì in albis raccontato da Tommaso è in Campania, ma anche nel Lazio, l’apoteosi di un rito che trova un altro punto forte nella festa della Madonna delle Galline a Pagani dove il carciofo è l’alimento principe

Qui leggerete del carciofo secondo Federico Valicenti
l.p.


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