Abbiamo chiuso il 2015 con una lunga intervista a Carlo Cracco pubblicata sul Mattino.
Tra i tanti temi trattati da Cracco, anche quello della formazione dei giovani cuochi, oggi molto motivati a fare questo lavoro anche grazie alla spinta della televisione.
Due gli elementi che mi sembrano molto interessanti sottolineati nell’intervista.
Il primo riguarda l’apprendimento. A differenza della generazione dei cinquantenni che vent’anni fa iniziarono l’ascesa, è necessario ampliare la conoscenza ben oltre la Francia e il Giappone. Ci sono nuove cucine che dominano la scena di cui, a prescindere se siano o meno solo moda, è necessario per un giovane conoscerne le basi. “Oggi non puoi dire non lo conosco perché ti tagli la carriera”.
Il secondo aspetto riguarda gli stage vantati in giro mentre ci si è solo affacciati in una cucina. Oggi i giovani chef, osserva Cracco nell’intervista, spesso fanno brevi stage a destra e manca per incrementare il curriculum prima di aprire uno spazio proprio. In realtà servono meno stage ma molto più prolungati, almeno un anno. Sicché è molto facile puntare su chi emergerà: è quello che non lancia fumo e si sacrifica per un lungo periodo all’estero.
Quanti ragazzi oggi dicono di aver lavorato da Cannavacciuolo o da Bottura? Poi chiedi e manco se li ricordano se non per fugaci apparizioni in una partita.
Come ovunque nella vita, non le scorciatoie servono ad ingannare, come i trucioli che invecchiano il vino di tre anni, ma il gioco inevitabilmente viene fuori.
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