I Centenari: rilanciare la tradizione è la più grande novità di Napoli

Pubblicato in: La Pizza e basta
Antonio Starita Pizzeria Starita Napoli Pizza Mastunicola foto tommaso esposito

di Tommaso Esposito

Diciamocelo subito.
Senza peli sulla lingua e soprattutto con grande convinzione.
La nascita dell’ Unione Pizzerie Storiche Napoletane “Le Centenarie” è la più interessante e bella novità che oggi Napoli possa offrire in questo momento particolare in cui il mondo del food sembra girare positivamente e produttivamente soltanto intorno alla pizza e alle pizzerie.

Proprio per tale motivo, questo è il tempo più pericoloso.
Si rischia di perdere la bussola e guardare oltre i confini della tradizione (quella vera, non quella stupidamente ottusa):

  1. creando, tra bancone e forno, inguacchi impropriamente definiti gourmet
  2. tentando di trasformare il modello di pizzeria napoletana da luogo di popolare convivialità in una fredda sala settoria per gastrofighetti che si disinfettano con champagne.

Una recente chiacchierata con Antonio Starita, il Presidente delle pizzerie “Le Centenarie”, insieme a Salvatore Grasso di Gorizia e Alessandro Condurro (Da Michele) seduti intorno al tavolo di Gennaro Luciano a Port’Alba  mangiando non a caso una Mastunicola, la più ancestrale delle pizze è stato illuminante.

Mi ha confermato quello che già avevo scritto nel libroA Pizza viaggio nella canzone napoletana nonché nell’introduzione al volume Farina acqua lievito passione edito dalla AVPN Associazione Verace Pizza Napoletana.
Quando, cioè, leggendo i testi delle tante canzoni scritte e musicate individuavo  un lungo, ininterrotto filo rosso nella storia della Pizza Napoletana.
Quello della sua evoluzione, attraverso l’arco di oltre due secoli, dal 1700 al 1900 , da semplice prodotto gastronomico a fenomeno di massa, popolare, dapprima esclusivamente e tipicamente napoletano, poi planetario.
Lo ha testimoniato nel passato (e paradossalmente lo continuano a testimoniare le migliaia di post con video o foto pubblicati quotidianamente tra Facebook e Instagram)  lo sguardo attento del cronista, del folklorista, del viaggiatore per diletto parallelamente all’ispirazione del poeta e del musicista.
La Pizza Napoletana finisce per rappresentare l’identità di un popolo.
Già era successo per i mangiafoglia prima, per i mangiamaccheroni dopo e per Pulcinella da sempre.
Della Pizza Napoletana sono stati nel tempo (come non accaduto mai per nessun altro cibo) tratteggiati le stimmate, il carattere, i tratti identificativi.
Che sono questi:
la pizza nasce nella stessa bottega del fornaio quando si fa ‘o pane, ma poi assume fisionomia autonoma.
L’impasto è semplicissimo: acqua, sale, lievito e farina.
Si forma il disco stendendolo sul banco e lo si guarnisce con pomodoro o mozzarella, alici, cecinielli, funghi e quello che si vuole o si può.
I condimenti sono la sugna, l’olio e talvolta il burro.
Gli aromi sono il sale e l’origano.
Il disco può essere piegato su se stesso e diventa calzone ripieno con ricotta e salumi.
Il forno ha sempre la fiamma, quello del pane no.
Si inforna e si sforna rapidamente.
Rappresenta il trionfo della semplicità.
La sua forma è il simbolo della perfetta imperfezione.
Al palato è morbida come brioscia e odorosa come pastiera.
Deve essere digeribile e salutare: nun fa’ male.
È un pasto completo, ma economico, alla portata di tutti.
È cibo di strada mangiato a libbretta, ma è anche pietanza per famiglie intere, per crinoline e abiti scuri riunite in una pizzaria.

Ecco, questi sono i tratti salienti della tradizione che non dovranno essere mai dimenticati e negletti.
Anzi devono diventare brand ed essere esportati.
Dopo di che l’innovazione e la creatività facciano tutto ciò che immaginano.
Ne hanno facoltà.
Ma evitino ciò che non possono tradire.
Altrimenti Napoli, almeno della pizza e dell’Arte del Pizzaiuolo ritenuta capitale mondiale, sarebbe l’unica a perdere.
Sicuro.


Dai un'occhiata anche a:

Exit mobile version