Concerto di limone di Ernesto Iaccarino: il dolce del Paradiso

Pubblicato in: I vini da non perdere
Don Alfonso, il Concerto al limone

 

Crema di limone, crema di limone, crema di limone!!! Mi batte in testa, il piatto di Ernesto Iaccarino e della famiglia Iaccarino al completo. Adoro il limone da sempre, da quando odio l’aceto. Quello che la zia Mosca, non ricordo nemmeno, forse era il cognome forse no, me lo confermerà mio cugino Ezio, che è suo figlio ne metteva a litri, di quell’odioso e puzzolente esaltatore di acidità, sul  metro quadro di insalata che era solita mangiare, ai tempi della Clementina.

Veniva una volta la settimana, se ben ricordo, a pranzo, finito il turno alla Magrini. Linda, mia nonna, allora, per risolvere un pianto cinese, ogni volta mi metteva due gocce di limone su ogni cosa. Diceva che uccideva le cose brutte. La cosa strana fu che mi piacque subito. L’amaro no ma l’acido divenne parte della mia vita già a cinque anni. Certo a Bergamo mica ne crescevano di quegli agrumi di un colore che ho sempre amato. I primi buoni, bitorzoluti anche se piccini, li trovai sul Garda, durante una delle prime fughe d’amore con il mio secondo amorino. Li mangiai così, a morsi. Facevano venire i brividi, come certe timide carezze di C. (un’altra morosa ancora) sulle mie parti basse. Al Don Alfonso a cavallo degli  anni ’80 ci venni diverse volte. In giro con una Renaut 5 turbo mi divertivo su per le curve che portano a Sant’Agata. Ricordo un Alfonso più giovane della sua età di allora e Livia, che mi pareva francamente fighissima e altamente intrigante, che girava in sala con scarpe da tennis rosse. Vero, le portava con estrema nonchalance, ma io, più fighetto di testa che di soldi, non ero mica tanto d’accordo. Stavo con Monica, qui possiamo fare il nome perché la storia è stravecchia e non imbarazza nessuno: ero perso nei suoi seni, è quella della misura settima, e non vedevo l’ora di andare in camera, figuriamoci se ricordo qualcosa al di là di un piatto di pasta attorno a un meraviglioso pomodoro e, appunto, a quel dolce così ferocemente intrigante da apparirmi anche troppo dolce. Monica ci infilo’ un dito e se lo succhiò guardandomi di sbieco. Addio…addition, s’il vous plait. Livia chiese se qualcosa non andava perché il piatto era rimasto lì a metà. Farfugliai un “va tutto benissimo”, cercando di nascondere la volgare eccitazione a tutto ormone del mio impianto idraulico. Mi sembra di aver dormito lì, ma non sono sicuro se già avessero le camere. Comunque il mare non lo ricordo, anche se quella notte andai in barca mica poco, fra una tetta e l’altra. Ripensandoci il giorno dopo mi dissi che quel dolce al limone era sì fantastico e si capiva che l’agrume era da premio mondiale, solo che c’erano troppe dolcezze attorno e a me le troppe dolcezze non piacevano. Ma erano quegli anni. Alfonso faceva storia e già stava davanti a tanti facendo gruppo con i, pochi, assi di allora. Poi il vero colpo di fulmine fu quella visita alle Peracciole, mi pare il 2010. Ero davvero in orrenda compagnia e zoppicavo malamente, ma quel luogo, quei profumi, quegli incanti mi fecero tirare una delle mie rare botte di invidia. Alfonso parlava parlava – ho comprato un anno questo pezzo di terra, un anno quest’altro… – ma io mi ero perso dentro al limoneto.

Agrumi enormi profumatissimi, il giallo, il verde, il blu del mare, Capri. Paradiso assoluto. Forse sbaglio, sarò fissato per carità, ma io insieme a certe bellezze abbino amore e sesso ma soprattutto amore. Non potendo far di meglio con i pensieri e neppure con le opere, pensai a loro due, a Livia e Alfonso: chissà quante volte ci facevano l’amore, laggiù, all’ombra sotto quelle piante saporite di aria di mare. Magari Livia c’aveva le stesse scarpe da tennis rosse! Invidia allo stato marmo! Ancora allora la crema di limone era eccessiva in zuccheri, quasi si volesse nascondere la sensualità spiccata dell’agrume. Poi, dopo anni, ci sono ritornato due volte a distanza di un mese. Ernesto ha un manico sicuro, direi poderoso, ora. Altri piatti meriterebbero il viaggio. Di sicuro alcuni piatti storici, per certo quelle verdure autoctone strabilianti, con quell’azzecatissimo gelato di rafano.
Ma la luna la raggiungi con il” Concerto di Limone”, così si chiama storicamente il piatto. Ora alleggerito, ora contemporaneo, ora perfetto, ora ancora sensualissimo ma senza una punta di stanchezza. L’ultima volta ne volevo chiedere un altro. Non ne ho avuto l’ardire ma ho sbagliato…Sono ateo, ma vorrei portarlo in paradiso con me. E se il paradiso è quel limoneto, beh, allora sono già arrivato! ma pure (come forse sarà) andassi all’inferno spero di essere lapidato a limoni!


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