Coronavirus: la crisi per le pizzerie è una emergenza sociale! Il governo non può dimenticare 75mila locali!!! Ecco le richieste del Gruppo Piccola Napoli

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista
Gruppo Piccola Napoli

Per i pizzaioli, nessuno escluso, è il momento più difficile da quando è nata la pizza. La caduta del Regno delle Due Sicilie, le due guerre mondiali, la Spagnola, il colera, il terremoto, Cernobyl, la guerra di camorra negli anni ’80 non avevano mai fatto spegnere i forni di Napoli.
Parliamo di almeno quindicimila esercizi che fanno pizza solo in Campania, molte a struttura familiare, tante sono vere e proprie aziende con 40, 50, anche 60 dipendenti. Per non parlare dell’indotto, i piccoli produttori agricoli che finalmente avevano trovato uno sbocco, pagato, alle loro merci di qualità primi fra tutti.
Mentre nel resto dell’Italia era continuato l’asporto, in Campania è vietato già da due settimane. Significa che, dopo il discorso di Conte di ieri e i prossimo provvedimenti, saranno certamente chiusi per un mese.
Un mese, diciamocelo, si può resistere. Ma due? Tre? E soprattutto, è immaginabile tornare alla calca di persone che hanno preceduto la chiusura di due sabati fa?
In questi giorni continuo a ricevere messaggi disperati. La categoria è vasta ma individualista, il mestiere non è neanche riconosciuto dalla pubblica istruzione. Il mestiere è sempre stato l’ultimo ripiego di quanti, nel  Dopoguerra soprattutto, non avevano come far mangiar ele proprie famiglie.
I pizzaioli non hanno leader come Landini  o Boccia che possono alzare il telefono e parlare con Conte.
I parlamentari campani di questa situazione se ne stanno fottendo: bravi a farsi fotografare con la pizza nei tempi d’oro: dove sono ora.
Stupisce questa cecità, questa incpacità di difendere quello che è stato lo scheletro, insieme ai ristoranti, della tenuta economica e sociale in Campania, la seconda regione più popolosa d’Italia, negli ultimi dieci anni.
I pizzaioli sono soli. Sono soli tanti ragazzi sposati con figli che avevano aperto da quattro, cinque anni e che hanno fitti e mutui da pagare, in ritardo con i fornitori. Sono soli i pizzaioli dipendenti, quelli che servivano ai tavoli. Sono soli quei pizzaioli che erano arrivati a questo mestiere dalla strada, da un’attività crolata per la crisi economica, rientrati dopo aver fatto i lavapiatti all’estero. Sono soli i grandi e i piccoli. Gli antichi e quelli di nuova generazione.

Ma le proposte non mancano. In questo post mettiamo insieme due realtà diverse ma unite dalla pizza. Quella del Gruppo La Piccola Napoli che ha organizzato una catena di appelli video che stiamo trasmettendo dalla nostra pagina facebook, e quella di Alessandro Condurro, la storica pizzeria da Michele che ha chiuso per la prima volta. Vediamo di cosa hanno bisogno sperando che almeno uno dei parlamentari riescano ad infilare un emendamento nella manovra Cura Italia.

Sono esattamente quattro misure che se non prese, faranno chiudere almeno la metà delle pizzerie secondo il Gruppo.
Parliamo di 75mila pizzerie in tutta Italia con almeno 350mila addetti.

 sospendere gli affitti dei locali e delle utenze di questi
 eliminare le tasse dei mesi (marzo, e di quelli che verranno), comprensiva di IVA
 la copertura dei fornitori e degli operai-dipendenti nei mesi di chiusura obbligatoria
 un prestito a tasso zero da parte dello Stato per poter pagare i fornitori e i dipendenti alla ripresa.

Vediamo adesso il punto di vista di Alessandro Condurro, della storica famiglia che gestisce Da Michele che aveva messo da parte il suo lavoro di commercialista per didicarsi al progetto Michele in The World

di Alessandro Condurro

Servono aiuti concreti, reali e tangibili, e soprattutto servono ADESSO. I crediti di imposta sono paliativi. Circa gli ammortizzatori sociali, stanno ancora pensando a come far partire le domande. Centinaia di migliaia di aziende intaseranno la prossima settimana il sito dell’INPS, creando ritardi e nuove circolari per far fronte all’”improvvisa enorme richiesta” (quasi non lo sapessero). Casse integrazioni ed assegni a sostegno del reddito della durata di 9 (nove!) settimane, due mesi…e poi?
Credono che i ristoranti e le pizzerie facciano sold out da subito??!! Se tutto va bene, l’INPS comincerà ad erogare dopo 4 mesi, intanto peró le aziende dovranno “anticipare” le somme ai dipendenti, salvo poi portarsi tali somme a credito sui DM10 (i contributi)…ma se stanno chiusi come li fanno questi soldi per pagare????!!!!
Ok, si puó optare per l’erogazione da parte dell’INPS direttamente ai dipendenti…tra 4 mesi…e adesso queste persone come mangiano? Si dovrebbe attingere alle risorse che ogni azienda virtuosa dovrebbe possedere, ma, escludendo i giovani che avranno aperto con un prestito in banca che adesso non potranno più restituire , anche le aziende più importanti hanno una riserva per un mese, forse due…qualcuno l’avrà usata per un investimento.
I 600 euro a sostegno delle partite Iva? Ne vogliamo parlare? Meglio di no…
In sintesi è una lotta contro il tempo…più tempo passa, più aziende non riapriranno, più studi professionali chiuderanno (adesso parlo per la mia categoria: ammesso che i miei clienti riaprano tutti, quanti mesi dovranno passare prima che ricomincino a pagarmi, mentre io i miei collaboratori devo pagarli da subito?), più posti di lavoro si perderanno, aumenterà la delinquenza e diventeremo uno stato dell’America Centrale.
Occorre denaro, denaro liquido, non crediti di imposta. Occorre tanto denaro liquido da immettere nelle aziende o nel sistema bancario, ad interessi 0 (zero!!) per un anno almeno. Occorre non rimandare, ma AZZERARE i versamenti dei prossimi 3 mesi. Occorre questo ed occorre ADESSO.

 

Napoli è la terza città d’Italia per numero di abitanti, ma dobbiao considerare la provincia che è tutt’uno con la realtà metropolitana: circa 3,2 milioni di persone. Nonostante le cose siano andate molto bene negli ultimi quattro anni grazie al food e al turismo, resta un polveriera sociale.
Lo Stato intervenga subito si chi ha avuto i coraggio di uscire dal sommerso, mettesi a lavorare e a  creare posti. Altrimenti le conseguenze saranno imprevedibili e rischiamo di tornare agli anni ’80.

 


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