Enzo Guglielmi, la memoria storica del Rossese di Dolceacqua

Pubblicato in: Personaggi

–  del Guardiano del Faro –

Siamo dalla parte di Soldano, dalla parte di Perinaldo, non da quella di Dolceacqua, siamo dalla parte dove Gino Veronelli individuò la Romanèe Conti Italiana, quella piccola vigna di Rossese che negli anni 70-80 raggiunse fama internazionale per le riuscitissime vinificazioni confidenziali  del vulcanico sindaco di Perinaldo, Emilio Croesi.

Durante un intervista in video di qualche anno fa, Gino Veronelli tirò in piedi una bottiglia di vino rosso e la definì: “uno dei più grandi vini della mia vita” e ancora “vino nato da una parcella di vigna che è la Romanèe Italiana” 

Leggo altrove una definizione: 
“Il colore è rubino carico con netti sentori di selvatico, spezie e frutti di macchia mediterranea. Il corpo è pieno con sensazioni aromatiche prolungate. E vino di impensabile longevità” 

Si tratta del Rossese Vigneto Curli 1978 di Emilio Croesi, leggendario sindaco di Perinaldo. 

Non so il 1978, ancora esistente in cantine private degli eredi Croesi, ma il 1982 l’ho provato un paio di volte, la seconda da lacrime.

Però il 1978 di Guglielmi l’ho bevuto, saranno stati tre anni fa, e posso quindi facilmente immaginare e condividere la soddisfazione di Gino Veronelli, erano vini straordinari da giovani e anche con il passar del tempo hanno mantenuto caratteristiche e originalità uniche.

A Enzo Guglielmi venne proposta quella piccola parcella di vigneto Curli, fu lo stesso Veronelli a consigliarlo in quel senso, ma i tempi non erano maturi, il vino rendeva poco, era meglio coltivare fiori in quegli anni, ora la storia ha dato ragione a Guglielmi, perché i fiori non li vuole più coltivare nessuno da quelle parti, adesso vorrebbero aver tutti una bella vigna.

E lui, nonostante non abbia avuto la lungimiranza di acquistarla, ora che quel piccolo appezzamento e ridotto a sterpaglie con un piccolo rustico che emerge dai rovi,  lui comunque ha tirato dritto, con la sua discreta produzione di 25-30.000 bottiglie annue di Rossese e Rossese Superiore vendute tra l’altro a prezzi inferiori ai dieci euro, tra i migliori rapporti qualità prezzo in Italia per un vino Autoctono, d’Autore , di Territorio. Nel tempo ha anche investito in cantina, modernizzando dove necessario , ma senza inutili stravolgimenti tecnologici.

La solita visita a sorpresa in un tiepido pomeriggio autunnale, quattro amici , la solita scusa, andare ad assaggiare in anticipo il Superiore in uscita , l’eccellente e grintoso 2009 che fa dimenticare le mollezze e le sinuose rotondità della 2008, e poi un giro di bicchiere sulla 2010, tanto per rifarci le narici sui profumi che in seguito vireranno verso la classica mora selvatica mentre ora sono tutti sovraesposti su una golosa ciliegia matura.

 Come al solito gli tiriamo la giacca per farci stappare qualche vecchia bottiglia dimostrativa di quale classe è in possesso il Rossese in fase di invecchiamento avanzato. Andiamo fino alla 1967 stavolta,  c’è Marco Carmassi con noi ,  già Sommelier professionista e degustatore ONAV,  genovese,  classe 1967,  e allora Enzo si sbottona e tira fuori il vino da anniversario. Il vino è incredibilmente vivo così come è incredibilmente impeccabile il tappo . Risparmiamo la 1966 per altra occasione, incredibilmente imbottigliato a suo tempo in una bottiglia renana… bha… comunque molto interessante lo sviluppo terziarizzato del 1967, addirittura meglio della più “giovane” 1974 un “Superiore” soleggiato che stava  prenotando il biglietto per Madeira, mentre oltre tutte le colline scollinate il ‘73.

L’irregolarità è ovvia dopo 40 anni,  e anche le condizioni di imbottigliamento dell’epoca non erano certo quelle di oggi, anche se bisogna ammettere che i piccoli tappi dell’epoca hanno tenuto benissimo e saltano fuori con uno schiocco tondo e convinto. Però le temperature e l’umidità in quel garage che è il deposito delle reliquie non è proprio l’ideale. Insomma, una serie di fattori e di variabili che nonostante tutto non hanno impedito a questi vini di venirci a raccontare ancora oggi una bella storia della viticoltura italiana, quella con le mani sporche di terra e di vinaccia.


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