Fabio Rizzari e Le Parole del Vino

Pubblicato in: I libri da mangiare
Fabio Rizzari, Le parole del vino

«Le parole sono importanti» urla Nanni Moretti schiaffeggiando l’improvvida giornalista in Palombella Rossa. Metafora di un Paese già in cerca di scorciatoie culturali e sociali attraverso la Net Economy e le scosciature in tv, in cui il parametro dell’indice di ascolti preannunciava l’avvento della dittatura dell’algoritmo di Google nella gerarchizzazione del sapere.

Già, le parole sono importanti, ma tutte quelle del mondo non possono descrivere un solo vino se non per approssimazione. Ed è per questo che il mestiere di critico enologico è molto difficile, perché alla puntualità descrittiva si arriva per convenzioni, ma anche per mode: floreale, ematico, minerale, sbuffi vegetali. Ogni anno ha avuto il suo aggettivo.

Il pregio di Fabio Rizzari è farci respirare l’atmosfera onirica e sognatrice di Gino Veronelli, fondatore della critica in Italia, che ha sempre badato bene a non farsi rinchiudere nella gabbia di un linguaggio parascientifico. Lui, figlio dell’Italia della ricostruzione, sempre in grande tensione narrativa.

Fabio è invece figlio del «baby boom», il suo è un approccio meno ieratico, molto più laico, ironico e autoironico, di chi usa il web senza mai dimenticare la carta costringendo il lettore all’attenzione.
I suoi interventi, sempre garbati, mai rissosi nonostante un vago accenno di misantropia nel suo carattere, sono adesso raccolti nella collana Piattoforte della Giunti, la nuova iniziativa voluta da Marco Bolasco che oltre a lanciare questo titolo («Le parole del vino») propone agli appassionati anche quello del cuoco tristellato Niko Romito («10 lezioni di cucina»).

Preceduto da una prefazione di Armando Castagno, critico cult per la tribù dei «talebani» sul 2.0, il libro è una piccola vera goduria fatta di racconti, aneddoti, aforismi, ma anche da pignoli, meticolosi e sapienti tentativi di mettere a fuoco il linguaggio del vino.

Ne esce fuori una lezione importante per i tanti che se la tirano dopo il primo anno di corso da sommelier: la semplicità del linguaggio è un dono a cui si arriva dopo aver studiato e girato tanto, tantissimo.

E in questo campo il punto di arrivo si sposta in avanti a mano a mano che si beve e si approfondisce.
Come nota Armando Castagno, sono pochi i libri italiani del vino da poter tenere in biblioteca. Nulla di strano, visto che tutto sommato siamo tutti figli del post-metanolo del 1986. Ma questa lettura, oltre ad appagare, inizia a colmare questo vuoto.

Fabio Rizzari
Le parole del vino
Giunti Editore
pp. 122 10 euro


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