Fiano di Avellino 1995 doc

Pubblicato in: I vini da non perdere

MASTROBERARDINO

Uva: fiano
Fascia di prezzo: nd
Fermentazione e maturazione: acciaio


Giusto un anno fa avevamo provato e descritto il 1994, adesso a dodici mesi di distanza parliamo del millesimo successivo.
Credo che le verifiche fatte sul campo, leggete magari anche questo, non lasciano dubbi e consentendo di andare oltre l’affermazione per la quale bisogna aspettare tre o quattro anni prima di bere un Fiano (ma anche un Greco). Già, perchè in un Paese di consumo maturo questa dovrebbe essere la regola scontata.
Meno scontato, ovviamente, aspettare quindici anni. Ma possiamo dire tranquillamente che le soddisfazioni di un bicchiere così vecchie sono infinite e davvero appaganti. Il tempo in questo caso non banalizza affatto il vino ma lo esalta, ne aumenta la complessità olfattiva. Vista la distanza, in questo caso va sicuramente scaraffato e atteso una quindicina di minuti per farlo riprendere.
Il naso è intenso e persistente, dopo la prima nota timida di pera sciroppata emerge con prepotenza l’idea della nocciola tostata e, infine, tanti tanti idrocarburi, stavolta sì in modo netto e preciso.
In bocca l’avventura continua, con una beva ovviamente sapida, di buon corpo, e la freschezza intonsa, starei per usare il termine vibrante così in voga nel 2009. Direi quasi che gli anni l’hanno ulteriormente esaltata dopo il dissolversi del floreale e la scarnificazione del frutto.
Vi devo far notare il tappo di qualità, qui stiamo parlando di un vino base presentato nelle vecchie e care bottiglie renane poi purtroppo abbandonate inopinatamente e infine il grado alcolico dichiarato in etichetta: 11,5. Frutto sicuramente di una selezione di uve magari meno attenta di quanto non avvenga oggi, ma estremamente siginificativa di come non sia necessario arrivare a 13 gradi per avere un vino in equilibrio e longevo.
Il tema di questa bottiglia, come quello di tutti i vini Mastroberardino negli anni ’90, è la gentilezza coniugata all’eleganza. Il bicchiere non si impone, ma è presente in modo discreto e non urlato. Ma anche in modo fermo. Lo tieni là, poi lo abbini al cibo e capisci la sua qualità, l’incredibile capacità del Fiano di prendere le redini dentro il palato e provocare appaganti sensazioni di piacevolezza e pulizia.
Vale la pena aspettare tanto tempo? A nostro giudizio sicuramente sì quando si tratta di Fiano. L’evoluzione infatti conferisce una impronta ulteriormente equilibrata al bianco e rende possibile goderlo quando tutte le sue componenti sono equilibrate al massimo.
Un progetto serie e ventennale portato avanti dalle grandi aziende ma anche da qualche piccola cantina, porterebbe sicuramente questo bianco ai vertici della enologia mondiale grazie ai passi in avanti fatti in questo decennio.
Pensate infatti che parliamo di una bottiglia base venduta all’epoca sulle sette/ottomila lire. E pensate che evento in una tavola poterla aprire con grande sicurezza. Anche grazie al tappo che era in perfetto stato di conservazione.
Infine una riflessione sull’importanza ancora decisiva delle aziende storiche: solo grazie a loro, infatti, è possibile provare vini così antichi e poterli valutare con la maturità e l’esperienza di oggi. Il Fiano si è accoppiato infatti a un Aglianico 1985 base di Paternoster. Per dire, insomma, che sulla distanza si deve fare i conti con quello che Braudel definiva il tempo lungo della storia e si capisce, allora, perché al di là della ristretta cerchia di esperti e di appassionati, la massa dei consumatori cerca sempre marchi consolidati. Non solo perché commerciano da più tempo, ma anche perché possono scrivere la loro storia papillosa per gran parte di chi ama bere vino.
Nuove cantine, per guadagnare tempo, dovrebbero paradossalmente ritardare l’uscita dei loro prodotti proprio per affermare una loro storia specifica e diventare garanzia. Sinora solo Marsella e Picariello hanno avuto questa intelligenza colturale e culturale. Adesso c’è, ma non avevo dubbi che sarebbe stato così, Quintodecimo di Laura e Luigi Moio che esce con un anno e mezzo di ritardo con i bianchi, Falanghina compresa: e solo così riesce a ben venderli. Ossia la concorrenza non dovrebbe essere giocata sull’annata, dove la cantina storica ha sempre un vantaggio di relazioni e di esperienza, ma sul passato, offrire cioé un servizio in più.
Per dire, in fondo, che il ciclo vitivinicolo campano e meridionale è appena alle prime battute e che lavorare in un quotidiano con 12o anni di storia, dunque vivendo la concorrenza agguerrita di nuove testate, mi ha aiutato moltissimo a capire questo meccanismo elementare. Come si dice, ‘O Mattino è semp ‘O Mattino. E la notizia, per essere <vera>, deve uscire qui. Così è anche per il vino: senza le aziende storiche e tradizionali non può esserci affermazione di una tipologia nel grande pubblico, quello che fa media e fa i numeri. E produce senso comune, il bene immateriale più difficile da formare e consolidare.

Sede ad Atripalda, Via Manfredi, 75-81. Tel. 0825 614111, fax 0825 614231. www.mastroberardino.com, Ettari:190 di proprietà e 150 in conduzione. Bottiglie prodotte: 2.500.000.Vitigni: aglianico, piedirosso, fiano di Avellino, coda di volpe, greco di Tufo, falanghina, e sciascinoso a Pompei


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