Frantoio d’Orazio a Conversano, alto artigianato pugliese dell’olio

Pubblicato in: L'olio d'oliva
Peppino D'Orazio

di Monica Caradonna

Frantoio d’Orazio a Conversano. La sveglia alle 4,30 come ogni mattina segna l’inizio della sua giornata. Anche se fuori è ancora buio la storia si ripete sempre uguale.

Da 70 anni. Alle 5, o poco giù di lì, Giuseppe, per tutti Peppino, apre le porte del suo frantoio e inizia l’attesa.

Aspetta i suoi fornitori che vengono ancor prima dei clienti. Insomma, sono più importanti. Stringe mani e dispensa sorrisi. Risolve problemi. Solitamente quelli degli altri. Aiuta chi ha bisogno. La sua vita un po’ monotona, ma intensa, riprende alle 10,30 quando torna a casa, cambia l’abito, mette quello buono con tanto di cravatta e va in banca, al Credito cooperativo di Conversano, dove agli inizi degli anni ’90 è diventato l’indiscusso Presidente D’Orazio.

Una storia di famiglia che dura da tre generazioni che si muovono intorno a ulivi centenari e alla magia di un mondo contadino che detta le regole della vita. Oggi quello dei D’Orazio è un prodotto pop che incarna la perfetta riuscita di un olio di gran qualità e di un packaging accattivante, che non vuole dimenticare la storia millenaria della Puglia, quella delle maioliche, così importanti da avere un museo tutto dedicato a loro, il Muma a Laterza in provincia di Taranto, e che sono diventate l’identità dell’olio D’Orazio. Uno studio sulla storia, sulle tradizioni colte, su quell’arte che nei secoli si è declinata attraverso un’elegante stesura cromatica che grazie all’intuizione di Francesco D’Orazio è diventata la veste buona e nuova di un prodotto antico.

Peppino è la storia, Francesco il futuro.

Il passaggio generazionale è avvenuto in sordina, per caso, quando negli anni ’90 si stava spostando il frantoio dal centro di Conversano alla periferia. «Entrammo nel capannone, tra i calcinacci – ricorda Francesco che di Peppino è il nipote – e mio zio un po’ spaventato mi disse “Francè non ce la faccio. Tutto questo è impegnativo. Che devo fare? Continuiamo?”» e fu in quel momento che si celebrò, con gli occhi lucidi, nel silenzio delle cose non dette, il passaggio delle responsabilità.

Oggi in via dell’Ulivo a Conversano – come non chiamarlo destino ? – sotto la guida di Giuseppe D’Orazio si trasformano in media 35-40mila quintali di olive all’anno.

 

La tecnologia è spinta e l’uomo talvolta ha dovuto lasciare il passo alle macchine. Ma non è sempre stato così. «Abbiamo avuto l’energia elettrica nel ’44. Prima c’erano le vasche con gli asini che facevano girare il meccanismo e gli uomini che lavoravano alle presse per estrarre l’olio. Ogni pressa aveva 25 fisculi nei quali, uno ad uno, bisognava spalmare la pasta di olive da andare a filtrare. Nel dopoguerra – prosegue Peppino – c’erano le vasche in zinco e prima ancora le sacche ottenute dalle pelli delle pecore o dei maiali. Povero me, ce li ho sulle spalle questi 70 anni di storia».

 

Lui lavora in azienda da quando era bambino. Finiva la scuola e andava a compilare le “bollette” in ufficio con il padre. Ha la quinta elementare e si è fatto aiutare da un professore quando doveva leggere i primi discorsi da presidente in Banca. Ha due sorelle e un fratello, Giovanni, papà di Francesco.

A 22 anni Peppino è subentrato al padre ma della sua infanzia ricorda tutto, insegnamenti e botte. Come quando a 12 anni ebbe il compito di far assaggiare l’olio a una signora. «Era bella, molto distinta, era la moglie di un carabiniere. Le mostrai l’olio negli zinchi, volevo farle assaggiare il migliore, ma lei volle assaggiare l’ultimo, quello più limpido per poi portarselo via. Non ebbi il coraggio di dirle che quello era olio lampante – ricorda con un sorriso. E le botte da mio padre furono davvero tante». Così si è formato il leader, a suon di botte e lezioni di vita. Come quelle di mamma Isabella. «Era lei la persona più dura in azienda. Le donne che lavoravano le mandorle la temevano, avevano paura. Ne gestiva fino a 30».

Il commercio e la trasformazione delle mandorle è un altro pezzo del business della famiglia D’Orazio. Oggi ci sono le macchine che rompono il mallo, ma quando c’era Isabella era tutto un lavoro di donnine che al mattino selezionavano le mandorle dalle cortecce, rompevano il mallo, le mettevano ad asciugare per poi ritrovarsi la sera, fuori le case, sulle sedie di paglia, a raccontar storie e a rompere i gusci.

«Oggi abbiamo meccanizzato più o meno tutto – spiega Francesco – e cerchiamo di scegliere una tecnologia adeguata alle esigenze dello sviluppo della nostra azienda pur mantenendo viva la tradizione». È entrato in frantoio subito dopo il servizio militare, si augura che le sue tre figlie possano vivere la campagna come l’ha vissuta lui, ma per ora è impegnato a far crescere il sogno di suo zio.

Ha dato un’impronta pop alle bottiglie.

 

«Sono legato al vetro, ma ho scelto di investire sulla latta anche in un’ottica di sostenibilità del prodotto». Continua il percorso di associazione tra l’oro di Puglia e l’identità del territorio, gode di un importante premio che arriva direttamente dal Giappone e lavora a un progetto di nome “Simone”. «Produciamo blend che derivano da diverse cultivar. La prossima sfida è un olio 100% prodotto da olive Simone». Ma questa è un’altra storia che ha bisogno ancora di 365 giorni per essere degustata.

Frantoio D’Orazio
Via dell’Ulivo, 1, 70014
Conversano BA
Telefono:080 495 5442

 


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