Tutti pazzi per il Brunello 2010

Pubblicato in: I vini da non perdere
Brunello di Montalcino Phenomena

di Gianmarco Nulli Gennari 

A più di un mese da Benvenuto Brunello, a Montalcino la febbre non è ancora passata. Anzi, è salita. L’impazzimento mediatico per l’annata 2010 sta provocando un fenomeno che fa felici i produttori e inguaia appassionati e consumatori dal portafoglio limitato: l’aumento vertiginoso dei prezzi. Nelle enoteche del paese abbiamo visto bottiglie dello stesso produttore passare dai 150 euro del 2009 ai 300 del 2010. Un’altra etichetta da 70 a 120. Aumenti di entità inferiore per molti altri Brunello, nessuno o quasi però sulle stesse cifre dello scorso anno. Ma c’è di peggio: l’enorme pressione dei buyer nazionali e soprattutto internazionali sta causando una rapida sparizione delle 2010 di molte aziende (oltre che svariate crisi di nervi per i sales manager assaliti al telefono per ottenere il maggior numero possibile di casse). In breve: per l’amante del Brunello la ricerca di diverse etichette del 2010 si sta trasformando ogni giorno che passa in una vera e propria caccia al tesoro. Una sensazione già avvertita a febbraio, che a Pasqua si è trasformata in una certezza.

Alle dure leggi del mercato, purtroppo, non si sfugge e Montalcino non è tanto diversa da Borgogna, Bordeaux e Langhe.

Abbiamo visitato nove aziende (molte delle quali non ci hanno proposto in assaggio il 2010, guarda caso…) di tutti i generi, la piccola azienda artigianale e il colosso da 500 mila bottiglie, il marchio storico e realtà recenti e recentissime. Lo stile prevalente è quello tradizionale (leggi botte grande) ma non è mancata una puntata da un ormai consolidato esponente dell’ala modernista (leggi barrique). A prescindere dalla perfino troppo mitizzata 2010, c’è stata una piena riconferma delle impressioni degli ultimi anni: l’adozione, cominciata più o meno negli ultimi quattro anni, di una “leggerezza” una volta sconosciuta nella gran parte dei Brunello giovani. Sono vini che spesso, anche nei primi mesi in bottiglia, hanno una cordialità e una prontezza di beva prima molto rara, senza perdere nulla in termini di definizione e di potenziale di invecchiamento medio-lungo (soprattutto nella “famigerata” ultima annata). È come se si fossero incrociate una necessità commerciale (è difficile proporre una tipologia che va obbligatoriamente dimenticata in cantina per anni se non ci si vuole limitare alla clientela dei super intenditori…) e una raggiunta consapevolezza stilistica che permette ormai a tanti di domare l’irruenza del tannino e dell’acidità del sangiovese grosso.

Partiamo per la nostra piccola ricognizione, corredata dalle note di degustazione.

La prima fermata è a Castelnuovo dell’Abate, più precisamente a Poggio di Sotto. L’azienda di Claudio Tipa è sempre in fermento, e quest’anno Chiara Antoni ci annuncia l’avvenuta acquisizione di una piccola azienda confinante, Poggio Celsi, i cui vigneti giacciono letteralmente accanto a quelli santificati un tempo da Palmucci&Gambelli, senza soluzione di continuità. Visto che la vigna originaria è da tempo in conversione biologica, ci vorrà qualche anno per unificare la produzione con i nuovi ettari acquisiti, ma l’intento è di aumentare la produzione il prima possibile.

In degustazione arriva il Rosso di Montalcino 2012, frutto come sempre di una selezione spietata (19 quintali/ettaro), che uscirà sui mercati tra circa un anno. In effetti sembra un campione di vasca appena svinato, ha il colore del melograno e profumi molto espressivi di fiori, frutta fresca ed erbe aromatiche. Il gusto è già ampio e succoso, con tannino cremoso come d’abitudine della “casa”. Bella lunghezza dolce e fruttata, peso leggero (per ora), una delizia. Più complesso il Rosso di Montalcino 2011, in commercio da poco più di un mese. Note di frutta secca, ferrose ed ematiche all’olfatto. Sorso più equilibrato ma forse meno affascinante, strutturato e alcolico. Bel finale balsamico. “Una vendemmia molto lenta”, è il commento dello storico consulente Staderini (e 25 q/ha). Il Brunello di Montalcino 2010, che a febbraio avevamo giudicato tra i migliori dieci, uscirà tra giugno e settembre, per cui ci dobbiamo “accontentare” del 2009. Edizione secondo noi in tono leggermente minore. Erbe aromatiche e tratti balsamici al naso, poi succo di mela e sali da bagno. Dopo qualche minuto tira fuori una vena fruttata piuttosto dolce. Tannino leggermente astringente, beva meno avvolgente di altre annate, chiusura amaricante. In persistenza torna il lato balsamico e una mineralità accentuata dall’annata calda.

Ci trasferiamo a poche centinaia di metri, da Mastrojanni, dove veniamo accolti a pranzo dallo storico deus ex machina aziendale Andrea Machetti e dal vulcanico Andrea Guerrini. In assaggio il meglio della cantina griffata Illy. Il Rosso di Montalcino 2013 è un bel conseguimento da un’annata sulla carta piccola e fresca, fruttini rossi e spezie (sandalo) all’olfatto, beva compulsiva, elegante e sfizioso. Il Brunello di Montalcino 2010 ha naso speziato e traccia boisè che sfuma col passare dei minuti e l’ossigeno, tannino estratto con cura, sorso piccante e speziato, chiusura di classe sugli agrumi. Il Brunello di Montalcino Vigna Loreto 2010, uno dei nostri migliori assaggi a Benvenuto 2015, stavolta esibisce un filo di stanchezza che non avevamo percepito a febbraio. Dopo un po’ Machetti svela l’arcano: è una bottiglia aperta qualche settimana prima, a scopo di esperimento, e poi ritappata. Ha un assetto iodato all’olfatto, con piccole spezie, in bocca è giustamente tannico e fruttato, si avverte un filo di evoluzione dovuta al “trattamento” subìto… A sorpresa, ottiene buoni voti il Brunello di Montalcino annata 2009, molto classico sia al naso che al palato, con erbe aromatiche, macchia mediterranea, tabacco, beva lieve ma deliziosa, speziato e anche con una Pai rimarchevole.

Poi arrivano le chicche. Il Brunello di Montalcino 2011, in anteprima assoluta, mostra in questo momento persino più espressività del 2010, in bocca è una spremuta di frutta, la gioventù estrema si avverte per la mancanza di “tensione” riscontrata negli altri vini. I veri jolly sono i Brunello di Montalcino 1980 e 1981, vecchia gestione (ed etichetta), ripescati da Machetti nientemeno che in mezzo al… pagliaio!!! Sulle prime si fa preferire il più “giovane”, per pulizia olfattiva ed eleganza. Ma col passare dei minuti il 1981 si rivela un po’ evanescente, mentre il 1980 cresce per solidità soprattutto in bocca (del resto la letteratura consolidata premia nettamente questa vendemmia rispetto alla successiva). La “maratona” si chiude con un piacevolissimo Moscadello Botrytis 2006.

In chiusura di giornata proviamo uno “scarto” stilistico. Da sempre, ideologicamente, non siamo molto attratti dalla barrique, in particolare per vitigni come il Sangiovese e in terroir classici come Montalcino, ma la piccola verticale che il francese Lionel Cousin aveva portato a Benvenuto del suo Cupano (quattro annate, dall’ultima alla 2003) ci aveva incuriosito. Per cui eccoci qui, al podere Centine, appena in tempo per cogliere lo stupendo tramonto e la luce che illumina il versante ovest della denominazione, che guarda la Maremma e il mare. Siamo appena sopra ai confini della Docg (delimitati dal fiume Ombrone) e il terreno, pieno di ciottoli bianchi abbastanza rari altrove, ne dà testimonianza immediata. Lionel, un passato prestigioso da direttore della fotografia per grandi registi, ci dimostra il suo estro anche con l’invenzione di un tavolo-stufa che riscalda le fredde serate di qui, a due passi dal borgo di Camigliano, con un ingegnoso braciere creato con i resti di una bombola a gas.

Ma ecco i vini, la cui ispirazione stilistica deriva, ci dice Lionel, deriva dal leggendario Henry Jayer. Il Rosso di Montalcino 2012 è molto ricco e pieno, un po’ in debito di articolazione sulle prime, frutto maturo, bella acidità ma si sente l’impostazione “internazionale”. Sembra un vino del sud, dolce e alcolico. Affina per 18 mesi in piccole botti di secondo passaggio. Qui si utilizzano diversi tipi di barrique, in prevalenza di Tronçais. Il Brunello di Montalcino 2009 ha fatto circa due anni e mezzo in legno piccolo di cui il 40% nuovo (nelle altre annate scende anche al 25%). Sulle prime un po’ ridotto, poi escono fuori tratti aromatici e balsamici e una nota di carne cruda. In bocca è soffio e carezza, ma di notevole struttura considerando l’annata “piccola”. Lionel sostiene che la causa è il suo particolare terroir, con parti argillose e sassose. La tostatura si avverte ma è inserita armoniosamente nel contesto. Frutta matura come nel Rosso, ma più equilibrato. Vini un po’ eccentrici dunque, che negli scorsi anni hanno avuto detrattori e sostenitori, e che tuttora dividono.

La mattina dopo si riparte dal castello di Argiano, dove ad accoglierci troviamo Giuseppe Sesti, prima astrologo e solo poi vigneron. Qui si usano pochi solfiti e si travasa seguendo le fasi lunari, come biodinamica insegna.

La figlia Elisa sta partorendo a Londra (auguri!) e lui è piuttosto eccitato, anche perché il lieto evento coincide con la luna nuova!!! Ci fa assaggiare subito un esemplare abbastanza insolito nel contesto ilcinese, il Sauvignon 2014. “Vivevo a Venezia e avevo una passione per questo vino, quindi l’ho piantato anche qui. La 2014 si è rivelata una vendemmia adatta per il vitigno”. In effetti, l’annata fresca e piovosa regala un sorso semplice ma beverino. “Fa solo acciaio ed è pensato per essere bevuto giovane”, spiega il suo artefice. Ci ritroviamo: la nota varietale è abbastanza evidente, in più ha un carattere curiosamente “mediterraneo”, di macchia ed erbe aromatiche. Un bianco piacevole. Il Rosato 2014 (“siamo stati i primi a farlo a Montalcino”) è ottenuto da Sangiovese in purezza. È un vino facile, poco alcolico (12,5%), ottenuto da vigne con rese generose, 8-10 ore di macerazione sulle bucce. Buon finale di ciliegia fresca.

Il Rosso di Montalcino 2013 è in bottiglia da tre mesi. Molto balsamico al naso, fragola, tannino quasi impalpabile, bella spinta acida e fruttata al palato, chiude salino e agrumato. Davvero buono nonostante l’alcool (14%). Anche qui niente Brunello di Montalcino 2010, in grandissima forma alle degustazioni del chiostro. Il Brunello di Montalcino 2009 è segnato all’olfatto da legno, terra e spezie, in bocca si espande bene anche se ha una certa rugosità, è ciliegioso e balsamico, finale ancora un po’ contratto sulla frutta sotto spirito ma Pai notevole. La riserva di Brunello di Montalcino Phenomena 2005 ha un naso caleidoscopico con prevalenza di spezie orientali, il tannino dopo dieci anni si può dire domato, la complessità non è enorme ma la beva è appagante. Chiude con bella profondità su note di cola e chinotto. Ultima proposta, un’eresia che non viene più prodotta: il Castello Sesti 2007 da uve merlot in purezza, affinato in barriques. Colore scuro, profumi vegetali e di tostatura. Al palato prugna matura e cioccolato, corretto e ben fatto ma effettivamente un po’ fuori contesto.

Nel pomeriggio ci spostiamo nel versante nord di Montalcino, quello più nobile: la collina di Montosoli, dove troviamo ad accoglierci Federico Buffi, nipote di Nello Baricci. Con l’avanzare dell’età il nonno, ultimo patriarca del Brunello, che nel 1955 alla fine della mezzadria riscattò il podere, ha ceduto lo scettro del comando a lui (in cantina) e al fratello Francesco (in vigna). Grande novità quest’anno in casa Baricci. Per la prima volta in sessant’anni di storia si farà la riserva: l’annata naturalmente è la 2010, le uve provengono dai filari più vecchi (25 anni) e più in alto, che danno grappoli più spargoli e chicchi più concentarti. Quaranta mesi in tonneaux da 5 hl, tiratura limitatissima, circa 1.700 bottiglie, quasi certamente con dedica a Nello in etichetta.

 

Federico ci fa assaggiare dalle botti i Brunello in affinamento, che invece stanno per tre anni in botti grandi: il 2012 ci sembra davvero in stato di grazia, molto equilibrato, con acidità ancora rabbiosa ma tannini splendidi e terrosi. È un’annata sulla quale si punta molto, tanto che si rifarà la riserva. Il 2013 è decisamente più indietro e un po’ esile; il 2014 ha un colore insolitamente scuro ed è davvero promettente a dispetto dell’andamento della vendemmia. Passiamo ai vini, in commercio da circa un mese (Baricci non ha partecipato a Benvenuto 2015 perché non erano ancora pronti, segno di grande serietà). Il Rosso di Montalcino 2013 è infatti ancora un po’ indietro, il naso è ancora segnato dall’affinamento, ma al palato ha una profondità notevole e una chiusura pimpante e piccante. Crescerà bene. Il Brunello di Montalcino 2010 è segnato all’olfatto da note scure di sottobosco e terra bagnata, poi un frutto molto fresco e di giusta maturità. Impressionante l’attacco in bocca, con tannino di grana finissima, mentre il finale è ancora un po’ embrionale, con un filo di dolcezza da assestare. Crescerà benissimo.

Torniamo sui nostri passi lungo la statale, verso il paese, e ci fermiamo nel nuovissimo complesso di Canalicchio di Sopra, dove ci accoglie Simonetta Ripaccioli, nipote di quel Primo Pacenti che alla fine della mezzadria prese la stessa decisione di Baricci: scelta lungimirante! Le etichette aziendali riportano ancora lo storico simbolo della torre municipale di Montalcino, che all’inizio, nel 1967,  accomunava tutti i dodici fondatori del Consorzio. Dopo una rapida disamina della vendemmia 2014, che qui ha lasciato molto soddisfatti (“abbiamo aspettato 10 giorni in più, che si sono rivelati decisivi”), passiamo agli assaggi. Il Rosso di Montalcino 2013 fa legno per un anno, di cui quattro mesi in tonneaux da 7,5 hl. Molto espressivo ai profumi, con erbe aromatiche, ciliegia sotto spirito, viola, toni speziati (pepe). Elegante al palato, gentile, gastronomico (andrà d’accordo sia con un primo che con una buona bistecca). Un filo di calore nella lunga chiusura, molto sul frutto. È un bel conseguimento. “Il Rosso per noi è un vino importante, e deve diventarlo sempre di più”, osserva Simonetta. Speriamo davvero che tutti gli altri produttori siano d’accordo con questa impostazione e aiutino la tipologia, troppo spesso oscurata dall’ingombrante fratello maggiore. A proposito, ecco il Brunello di Montalcino 2010: naso di razza sangiovese, alloro, sottobosco, rosmarino, lato mentolato, poi toni ematici e ferrosi, cuoio, roccia scura; in bocca è leggiadro, torna un’insistita nota minerale, poi la ciliegia, la sferzata tannica è ben integrata, ha belle scorte di energia e allo stesso tempo di eleganza, si espande bene, bel finale segnato da ferro e sale.

La giornata si chiude al podere Sante Marie, con Marino Colleoni. Un piccolissimo produttore che ha scelto fin da subito la via della vitivinicoltura naturale, escludendo chimica e “aggiustamenti” in cantina. La prima notizia significativa è che Marino ha deciso di fare la riserva del 2011 e non del 2010 (così come un’altra importante azienda). Gli assaggi da botte: il Brunello di Montalcino 2014, all’opposto di quello di Baricci, ha colore scarico, quasi da Schiava, e odora di lampone. È frutto di un raccolto difficile e di scelte drastiche che porteranno a dimezzare la produzione. Il 2011, che affina in botte grande di rovere austriaco, è davvero in gran forma, molto espressivo al naso, con amarena sotto spirito, alloro, terra, belle note selvatiche, carne cruda, mela rossa; la beva è trascinante grazie a una lama acida affilatissima. Molto promettente. La Riserva 2011, invecchiata in tonneau, è invece al momento più scontrosa e poco disposta al dialogo, ma la materia c’è. Altra novità: dal 2012 Marino ha deciso che farà due cru di Brunello dai due appezzamenti di Sante Marie (sotto il paese, zona Porta Burelli) e di Castelnuovo dell’Abate (vicino all’abbazia di Sant’Antimo). Al momento il secondo, in tonneau, è più compiuto e leggibile del fratellino che fa invece botte grande.

L’ultimo giorno si va a visitare una delle cantine più grandi del comprensorio, Col d’Orcia, che compie cinquant’anni. Per questo anniversario è stata organizzata in questi giorni una storica verticale a Roma, di cui daremo conto prossimamente. Per ora ci limitiamo ad assaggiare le ultime annate del sangiovese, escludendo i vari cru da vitigni alloctoni presenti nell’ampio catalogo aziendale.. Il Rosso di Montalcino 2012 profuma di spezie dolci e di smalto, frutti rossi; in bocca è ampio e succoso, di grana fine, chiusura solo media. Il Rosso di Montalcino Banditella 2010, affinato per 18 mesi in barrique e tonneau, è più scuro al naso, con note ferrose e di caffè in polvere, corteccia, stecco di liquirizia; al tatto sembra un piccolo Brunello in stile moderno, sente un po’ l’alcool ma ha tanta materia, con belle prospettive evolutive. Finale lungo e speziato (pepe bianco). Il Brunello di Montalcino 2010 ha un assetto decisamente più classico, ma è ancora da distendere nei profumi, lievi cenni di fiori e frutta secca, poi erbe aromatiche; il tannino è di grana finissima, appena un po’ contratto, buona freschezza, la persistenza è da campione, sugli agrumi. Notevole. Il Poggio al Vento 2007 è la riserva di Brunello da sempre portabandiera di Col d’Orcia, frutto della vigna più vecchia e più scenica, impiantata nel 1974 e rinnovata gradualmente negli anni. A Benvenuto 2015 ci aveva impressionato. Questo campione è leggermente meno performante, con olfatto di erbe aromatiche e spezie, liquirizia e cannella, frutti rossi; al palato si avverte ancora una lieve astringenza ma anche una struttura da fuoriclasse del sangiovese, con lunghissima Pai segnata dal tabacco e dalla ciliegia.

A chiudere la nostra panoramica è una piccola azienda di fronte alla chiesa di Santa Restituta che da qualche anno si segnala per la bontà dei campioni inviati all’anteprima: Matè. Ancora stranieri innamorati della Toscana: lui, Ferenc, scrittore ungherese, ha dato alle stampe un libro sulla loro storia (“A Vineyard In Tuscany”) tradotto in dodici lingue ma purtroppo non in italiano; lei, Candace, è una pittrice canadese. Sono diventati vignaioli quasi per caso, negli anni Novanta, dopo aver acquistato casa e due ettari di terreno da Banfi. Poco dopo è arrivato un nuovo vicino di casa… Angelo Gaja, che ha “prestato” loro l’enologo Fabrizio Moltard, e così è nato tutto. Ora Candace si occupa personalmente dei vini che sono una bella conferma alle nostre impressioni.

Ci propone una piccola e preziosa verticale di Brunello di Montalcino, frutto di un mix tra botte grande e tonneau (mentre all’inizio, come vedremo, l’impostazione stilistica era decisamente modernista). La 2010 ha note balsamiche e di cenere, terra e incenso, e un sorso di grande piacevolezza, si espande bene, fodera il palato e chiude lungo sul sale e sugli agrumi. Il 2009 è più sottile e spensierato, con frutti rossi a go-go, sandalo e vaniglia; finale più asciutto e brusco. Il 2008 si conferma figlio di un’annata forse sottovalutata per la denominazione: è molto vicino allo splendido 2010, solo un po’ più piccolo in persistenza, ma ha un naso spettacolare di spezie orientali, terra umida, con un lato affumicato; tanta scorta di frutta in bocca e tannino ancora un po’ graffiante, che si distenderà bene negli anni. Il 2007 mostra una bella integrazione tra rovere, tabacco, menta e ciliegie; in bocca è in gran forma, tanta materia, bella dinamica gustativa, spinge e allunga su note di arancia rossa. Il 2005, infine, testimonia la giustezza della svolta del 2007, quando si è cambiato il protocollo di affinamento: è ancora un Brunello invecchiato solo in tonneaux, e si sente specialmente al palato, con toni liquiriziosi e tannino ancora impegnativo, il meno convincente della batteria, mentre all’olfatto è un po’ chiuso, con lievi cenni balsamici e di mandorla.


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