La Catagna interprete della Terra Madre Flegrea

Pubblicato in: Eventi da raccontare

di Gemma Russo

Vicoli stretti, da percorrere in silenzio per spogliarsi dalla modernità, portano i “viaggiatori Slow” in una dimensione irreale, lasciando il tempo lungo la strada. L'attraversamento lento, uno degli ingredienti messi nel piatto, in questa terza tappa del viaggio intrapreso dalla Condotta Slow Food Campi Flegrei, quando, ad interpretare la Terra Madre, è stata La Catagna.

 

Tra il campanile della Chiesa di Sant'Anna, porta d'accesso al quartiere di Cento Camerelle, sul labile ciglio di ciò che resta di un edificio vulcanico, con vista su Capo Miseno, Cicerchia, Cozza e Melannurca sono state interpretate da Crescenzo, ristoratore nella vita e pescatore per passione. Non pesca con ami o reti, ma in apnea, guardando direttamente con i suoi occhi quel mondo. Sapienza di chi ama il mare, lo rispetta, ne conosce le stagioni e lo racconta a modo suo, con parole semplici.

Iniziamo l'antipasto, da una stretta ciotolina, una “catagna”, espressione dialettale per definire l'anfratto accogliete i pesci, contenente, nel nostro caso, fagioli e cozze, con pezzettini di pane croccante. Cucchiaiate che ubriacano il palato con il mare dello “Schiacchitiello”, così chiamata la scogliera  sottostante il piccolo ristorante.

 

Poi, una polpetta di baccalà con patate su vellutata di zucca, con una goccia di aceto balsamico, introducono la Cicerchia. Piccolina quella flegrea, dai bordi irregolari e dal sapore erbaceo, granuloso, su cui è posta una triglia di Punta Pennata, dal dorso rosaceo, lungo il quale, ad aromatizzare le dolci carni, c'è il mediterraneo rosmarino. Leggera la pepatura.

Crostini di pane, su cui apporre della crema di ceci, richiamano sapori mediterranei. Alla fine, totano con imbottitura di friarielli. Piatto che racchiude al suo interno, un boccone di Terra Flegrea, che vive della tradizione contadina, ma che si affaccia sul mare.

 

Il totano tagliuzzato dà colore al primo piatto, composto con pasta mista e patate. Sull'antipasto ed il primo, la Falanghina 2013 di Cantine Agnanum, raccontata da Raffaele Moccia.

 

Un trancio di ricciola, scottata appena in padella con il coperchio, per trattenere l'umidità, affinché le carni restino tenere, con ventaglio di zucca sott'olio, danno vita al secondo piatto.

Il Piedirosso 2013 di Raffaele Moccia rende la stratificazione della terra flegrea. Personalità nel bicchiere. Ardore che raggiunge l'optimum, quando le radici delle viti si avvicinano al nucleo.

Piedirosso che continuiamo a sorseggiare su i due dolci, a base di Melannurca dei Fondi di Baia.

 

Una percentuale dell'incasso della serata andrà a finanziare il Progetto Slow Food “10.000 orti in Africa”.

Lasciamo il posto, portando via qualcosa: il profilo di Capo Miseno negli occhi; il profumo del mare nelle narici; il gusto della Terra Flegrea in bocca. Suggestione nelle orecchie, che risuonano della tromba di Miseno. Ce lo immaginiamo lì, orgoglioso, sulla punta del vulcano che sfida ancora Tritone.

Foto di Marina Sgamato

Regia di Costantino Sgamato

 


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