La pizza New York Style? E’ una bella storia terrona di emigrazione

Pubblicato in: La Pizza e basta
New  York Pizza a Times Square

 

di Tommaso Esposito

A volte basta fare esattamente quello che si è sempre fatto per capire il mondo e le sue storie.
Bisogna viaggiare, oltre l’orizzonte abituale, prendere appunti alla vecchia maniera e rifletterci su.
E così quello che guardi non ti appare più come lo vedi. Prendiamo il caso che ti trovi a New York.

Ecco, c’è gente che va di fretta, si affastella lungo le street, le avenue con questi grandi beveroni e gelati a palla color arcobaleno stretti tra le mani.
C’è il vapore che pure d’estate esala dai tombini.

E ci sono tante, ma tante pizzerie: forno a gas, forno elettrico; poi Brick oven Pizza, forno a legna, where every day is a Sunday, dove ogni giorno della settimana è Domenica.

Decidi di sederti, di consumare al trancio o di chiamare la pizza in camera, tanto è free delivery, a gratis, dopo aver consapevolmente dribblato chi ha aperto sulla Fifth o più giù ad East, oppure al Green o a Down Town, un po’ per puro business un po’ per moda, un forno sedicente napoletano, lasciando soltanto messicani e colombiani ad ammaccare dietro al bancone con gesti talora incauti, talvolta provetti.

 

Osservi i menu.
C’è il traditional con la Pizza Margherita fresh mozzarella & plum tomato sauce with extra virgin oil & basil; con la Marinara plum tomato sauce with basil, whole garlic, aglio intero, & extra virgin oil.
Noti quella & che va ben oltre la semplice e.
Qui è proprio et, cioè il rimando al simbolo informatico della congiunzione logica: sulla pizza tra la mozzarella fresca e il pomodoro non può non esserci l’olio extra vergine d’oliva o il basilico. Sacrosanto e vero.

Poi c’è il menu Gourmet, con la Pizza Chicken Broccoli, Lasagna, Mellenzana, Hawaian, Salad. Assaggi di tutto, così ti fai un’idea.
E assaggi con la mente sgombra da pregiudizi.

Mangi, cioè, la pizza che ogni giorno mangiano qui milioni di persone.

Non ti meravigli se trovi il trancio di focaccia goloso o, al contrario, dolciastro, untuoso, piccantissimo.
Tanto lo trovi anche a Napoli tra autogrill e pizzetterie.
Ti meravigli, invece, di riscoprire qua e là i tratti, l’anima di una pizza napoletana primordiale, ancestrale.

Ne recuperi i nomi, le forme o le dimensioni, la Large Size è come la partenopea a’ rota ‘e carro.

Ne ritrovi pure il profumo o il gusto, anche se qui tutto è più dolce. C’è lo zucchero nel pomodoro e pure nell’impasto per dare un po’ di colore in più nella cottura.
E poi ti accorgi che c’è una storia dietro queste pizze.
È una storia bella che, come tutte le belle storie, è proprio da raccontare.

Comincia con la prima ondata di immigrazione napoletana in America.
Siamo sul finire del 1800.
La pizza è fatta in casa.
Poi a qualcuno del mestiere sarà venuta l’idea di sfornarla in qualche bakery insieme al pane. Un altro piccolo passo per arrivare al 1897 quando Gennaro Lombardi chiese al Municipio di New York la licenza per aprire una Pizzeria su Spring Street a Little Italy. E poi nel 1905 aprì definitivamente.
Sta ancora lì Lombardi’s e si fa la fila per un ora prima di entrare.

Molti anni dopo nel 1924, un suo aiutante Antony Totonno Pero aprì a Coney Island Totonno’s.
L’anno successivo fu la volta di Frank Pepe a New Heaven nel Connecticut, mentre nel 1929 Giovanni Sasso accese il forno di John’s Pizza al Greenwich Village.
Furono conquistate Boston con Santarpio’s nel 1933 e San Francisco con Tommaso’s nel 1934.
Eugenio Giovannetti quando scrive nel 1939 ”La Pizza alla conquista del mondo” per la rivista del Touring Club, racconta del canadese giunto a New York che assaggia una pizza napoletana e ne diventa dipendente.
Poi è venuta l’era di Pizza Hut e Mac Pizza.
Ed è cominciata l’avventura di Pizza Pie.
Ma è proprio un’altra storia.


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