Don Alfonso 1890 a Sant’Agata pranzo di fine stagione

C’è una regola che deve valere sempre quando si scrive di enogastronomia: conoscere il passato per comprendere come le mode passano per lasciare, alla fine, sempre spazio ai classici, alle realtà consolidate negli anni. In questi vent’anni abbiamo visto di tutto su cibo e vino, pizza e artigiani del gusto, tra cui l’effetto fotografi. Succede così: quando ci sono molti fotoreporter per un avvenimento e uno inizia a scattare foto su qualcuno o su qualcosa, tutti gli altri lo imitano senza chiedersi il perché, per stare “coperti” si dice in gergo.

Capita così per cuochi, ristoranti, trattorie, vini. Eppure per capire se qualcosa ha una marcia in più c’è una verifica pratica e immediata: quando il passaggio generazionale è stato compiuto almeno una volta allora siamo in presenza di certezze.

Una delle parodie degli ultimi anni sono le inaugurazione teleguidate che alla fine hanno lo stesso effetto dell’acqua sullo scoglio. Certo un’azienda fa sempre bene a cercare un supporto stampa, ma stupisce come spesso ci si affidi a persone improvvisate e senza preparazione specifica: servirebbe , quando ci si affida a qualcuno, lo stesso rigore di scelta delle materie prime e dello studio dei piatti. E infatti quando si vede qualcuno che ha scelto un comunicatore sbagliato e senza esperienza è un segnale, per chi è del mestiere, che quella esperienza non è destinata a durare perché punta all’effimero e alla immagine, ossia all’esatto contrario di quello che si chiede quando si stappa e quando si mangia.

Questo non vuol dire non dover dare conto delle novità o ignorare le eccellenze. Ma un pizzico di prudenza si deve mantenere quando si scrive: Google, tra le altre cose, è anche un cimitero di ristoranti dell’anno chiusi e di vini che non si producono più.

Ecco perché c’è una ritualità che pochi possono consentirsi e uno di questi è il pranzo di fine stagione del Don Alfonso. C’è poco da fare, quel giorno si viene qui perché è da qui che si dettano i ritmi della stagione. Se la sala di Livia e Mario gira allora gira tutta la Penisola.

In questi anni non sono mancate le polemiche: spesso chi è primo in un settore guarda con fastidio le novità mentre chi emerge talvolta punta a demolire quello che è avanti nell’illusione di spazi più ampi da conquistare. Invece, per gli uni come per gli  altri, conta semplicemente il lavoro quotidiano, il numero di pasti serviti, le persone che vengono impiegate, i fornitori di qualità che possono continuare a produrre. E’ questa famosa linea che fa la differenza alla fine sui tempi medi e soprattutto lunghi, come le correnti rispetto alle increspature del mare provocate dal vento.

Un grande pranzo domenicale dunque, con i classici e alcuni piatti che raccontano di una attenzione sempre maggiore alle verdure e alla leggerezza. Lavorare tra Dubai, Macao e Marrakesh costituisce un arricchimento notevole oltre che un aggiornamento sulle tendenze della nuova clientela.

Il piatto del peperone e degli orti di Punta Campanella con il gelato al rafano è un esempio di questa evoluzione: vegetariano, leggero, riconoscibile per chi è napoletano ma anche tanto mediterraneo. Ecco perché a volte quando si dice che la materia buona non deve essere toccata si afferma una bestialità: come dire mangiati un grappolo di Chardonnay invece di bere Mersault.

La cucina di Ernesto sta anche iniziando a spingere, con nostro piacere, verso le acidità. La zuppa di pomodoro è davvero un altro piccolo capolavoro di semplicità e perizia.

 

Infine, siamo terroni, non poteva mancare lo spaghetto “a devozione”.

 

Infine una domanda angosciante: ma con questi agnelli che si aggirano al Sud perché prendere quelli insapori della Nuova Zelanda? Anche incutesti particolari si sente la differenza di un ristorante che si rapporta al territorio rispetto ad una cucina che ha come obiettivo la paura di sbagliare e soprattutto di non voler perdere tempo nel cercare il fornitore giusto e tagliare l’animale.

La bevuta infine: un po’ cantina mia, un po’ di amici, lo champagnano della casa:-)

 

Moderni e non stucchevoli i dolci.

 

 

E allora: arrivederci al Don Alfonso per la prossima stagione:-)

 

 

 


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