Grave Mora 2001 Aglianico del Taburno doc

Pubblicato in: Benevento
Grave Mora 2001

FONTANAVECCHIA
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: da 25 a 30 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Si dice che il gusto cambia con il passare del tempo. Sicuramente è così, ma la forza dei classici è mantenere l’appeal a prescindere. Leggo dunque con stupore queste note scritte sei anni fa e non potrei, oggi, scrivere di meglio dopo averlo beccato a soli 30 euro alla carta da Brezza Marina in quel di Paestum.
Un rosso che si mantiene giovane in maniera a dir poco spettacolare e che gli anni passati hanno aiutato a conquistare un equilibrio migliore, un perfetto bilanciamento tra frutta e legno e note terziarie, tannini e alcol, freschezza e corpo del vino, con un finale perfetto. Davvero una delle migliori espressioni non solo del Taburno ma dell’Aglianico in generale in una delle sue annate migliori. Ecco, allora, un vino destinato ad essere bagaglio storico della nuova docg proprio per queste sue caratteristiche.
La sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un bicchiere tradizionale, senza spinte eccessive, appena leggermente giocato sulla maturazione ben bilanciata dall’acidità. Da spendere sui piatti ben strutturati anche se noi lo abbiamo goduto su una triglia al pomodoro e ci siamo arrecreati come mai.

Scheda del 18 agosto 2009. Uscisse adesso, il Grave Mora diventerebbe rosso dell’anno tale è la perfezione raggiunta dopo otto estati, forse l’espressione più compiuta dell’Aglianico 2001 che abbiamo mai trovato. In una serata gioco tra Campania e Piemonte (Barbera di Roddolo, Dolcetto di Cavallotto, entrambi buonissimi) ho presentato questo antico avanzo di cantina che, mi rendo conto adesso, non avevo mai inserito nel sito se non proponendolo come bottiglia recensita sul Mattino il 23 ottobre 2003.
Il motivo è che il Grave Mora fece il suo esordio proprio in quel millesimo prima affacciandosi al Vinitaly 2003, poi entrando in commercio nel novembre dello stesso anno: appena 7500 bottiglie su cui c’era grande aspettativa mediatica.
I primi sorsi di questo vino sono stati fatti quando la percezione della crisi ha dunque segnato tutto il settore, effetto del surplus di produzione sulla domanda interna e sulle prime serie contrazioni del mercato americano. Poi il sostanziale abbandono da parte della critica verso i vini di potenza a favore di quelli più sottili, bevibili ed eleganti.
Il Grave Mora invece è proprio figlio della concezione di rosso degli anni ’90 ma ne è, esattamente come il 2001 di Molettieri, l’espressione più nobile per quanto riguarda l’Aglianico perché non ha nulla di caricaturale. Nè potrebbe, del resto, perché l’enologo Angelo Pizzi certo non si è mai distinto per questo quanto, piuttosto, per un’uso abbastanza ragionato del legno.
Ci sono due elementi che fanno grande questo vino, buono: il naso ha acquisito una grande complessità con il trascorrere delle stagioni. Mantiene la frutta matura come del resto annuncia il suo colore rosso rubino vivo e concentrato, a seguire un caravanserraglio di sensazioni che spaziano dal caffé, alla liquirizia, alle carrube, al tabacco scuro, poi di confetture, e note balsamiche resinose molto gradevoli e non invasive, ben ammagliate con il resto. L’olfatto è mobile e cangiante, sempre molto intenso e persistente, davvero il vino appaga il senso e spinge continuamento il naso dentro il bicchiere.
In bocca la musica è ancora migliore: l’ingresso è appena appena dolce, poi lavora l’alcol con la sensazione di caldo nel centro bocca, la massa materica prosegue il suo cammino, esprime la sua bevibilità, grazie a tannini setosi, davvero non c’è altro termine per definire la loro piacevolezza, e allo scheletro acido, di freschezza, che si mette sulle spalle il tutto e lo porta senza dare la sensazione neanche di affaticarsi troppo, sino in fondo, sino alla sua naturale conclusione, la chiusura pulita, netta, lunga nel corso della quale ritornano le iniziali sensazioni olfattive.
L’equilibrio raggiunto da questo vino è perfetto, ad alta quota. Direi che il Grave 2001 ha una forma moderna ma l’anima tradizionale, la sua spinta verso la potenza è data dal frutto e non dall’uso del legno, davvero una delle migliori esecuzioni assolute di Angelo Pizzi che, anche con il Roinos di Eubea nel Vulture, ha dimostrato di saper interpretare alla perfezione questa annata così favorevole all’Aglianico e, in generale, ai vini meridionali. L’ennesima dimostrazione dei vertici a cui può ambire l’areale del Taburno.
Sicuramente ha una lunghissima vita davanti a se, ma per fare una domanda banale mi chiedo: c’è qualcosa di altro, a parte la curiosità di studiare l’evoluzione, che questo vino può dare? Secondo la mia limitata esperienza, credo che se avete una occasione importante, se psicologicamente desiderate qualcosa di memorabile, oppure se avete un grande piatto a cui volete accompagnare un grande vino, vivaddio è il momento di stapparlo. Se poi, invece, in voi prevale la curiosità, allora lo potrete attendere per moltissimo tempo ancora. Per esempio festeggiare i 18 anni di vostro figlio nato ieri.

Sede a Torrecuso. Via Fontanavecchia.
Tel. e fax 0824.876275
www.fontanavecchia.info
Enologo: Angelo Pizzi.
Ettari: 9 di proprietà.
Bottiglie prodotte: 140.000.
Vitigni: aglianico, piedirosso, falanghina, coda di volpe


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