Il declino culturale del Cilento inizia a tavola: altro che Dieta mediterranea

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

di Marco Contursi*

Può sembrare strano che lo dica proprio io, amante viscerale di questa terra in cui ho trascorso degli anni stupendi, ne ho magnificato le bellezze e e ho vi lasciato uno spicchio di cuore. Ma, una pseudosagra a cui ho partecipato è stata l’occasione per elaborare  ed esternare una serie di riflesioni amare su questa terra  e su come venga qui inteso il turismo.

Partiamo proprio dalla sagra in questione, il cui nome richiamava le specialità cilentane, con una descrizione sul web dell’evento che parlava di contadini e manufatti locali.

Ebbene mi faccio 100 km e trovo circa 10 stand, con un paio di produttori della Coldiretti, buoni,  ma che trovi in tutte le manifestazoni della Coldiretti anche fuori zona, un paio che vendevano formaggi ma senza un cartello che ne dichiarasse la provenienza e uno dei quali magnificava un provolone gigante che di cilentano aveva ben poco, un venditore di taralli pugliesi che non si capiva come era finito lì, più l’immancabile bancarella del torrone irpino e del per o muss.

Nessun intagliatore di legno di ulivo, o di liquori tipici cilentani. Nada de Nada.

E di sagre simili ce ne saranno a decine da ora a settembre, con qualche eccezione di veramente ben organizzata e tipica come quella dei Cicci Maritati di Stio o del Fico Bianco di San Mauro, dove veramente incontri i contadini, la signora di Licusati coi suoi liquori, il tedesco ormai di Palinuro, con le sue marmellate dal sapore antico e verace.

Dalle sagre passiamo alla ristorazione, poche eccellenze, tanti dal sufficiente al buono, tantissimi da dimenticare. Ma con una nota comune: prezzo al chilo del pescato fresco oltre ogni ragionevole spiegazione, dai 55 ai 65 euro al kg. Se pensate che nei ristoranti dell’agro nocerino va dai 35 ai 45 e a Sorrento, eccezion fatta per gli stellati, la media è di circa 50-60 non ti spieghi perchè nel Cilento costi tanto visto il mare pescoso, i tantissimi porti con flotta, piccola o grande, e la scelta limitata che viene proposta.

Cioè, se mi si dice, “oggi il pescatore ha portato solo alici, seppie e saraghi” , non puoi farmeli pagare 65 al kg, più del ristoratore di Sorrento che ha all’ingresso un banco frigo con una esposizione ittica degna di una natura morta di  Giuseppe Recco e da cui scelgo IO come comporre la mia grigliata mista.

Ancora ricordo la fregatura fattami da un ristoratore cilentano che mi fece pagare una seppia piccola, due alici, 2 gamberi e mezzo sarago, 54 euro, sostenendo che pesasse quasi un chilo il tutto ma soprattutto che anche alici e seppia costavano 65 al chilo.

Eppoi vi lamentate che i turisti non vengono, che non vanno a mangiare fuori o che ordinano solo un primo e il dolce???

E del capitolo vino vogliamo parlare? E’ normale che in un agriturismo venga proposta solo della falanghina del beneventano e limoncello fatto nell’entroterra napoletano????? Un amico medico, cultore del cibo come pochi, ancora non si rassegna a ciò che ha trovato di recente in una seppur bella struttura delle colline che guardano il mare di Enea e di Parmenide.

Molti propongono etichette non cilentane perchè ritenute costose e quelli che le propongono effettivamente le fanno pagare troppo. Alcuni i produttori di vino locali che hanno parecchio invenduto, perchè quindi non fare delle Joint Venture tra ristoratori e produttori, dove i primi si impegnano a vendere il vino locale e i secondi abbassano un poco i prezzi?

Non è possibile pagare a tavola un Fiano medio cilentano più di un Clelia Romano o di un Marsella. La biodiversità ha sì un costo ma se lo scopo è vendere, bisogna chiaramente avere un rapporto qualità prezzo decente, altrimenti si chiude e la biodiversità va a farsi benedire.

E infine anche una stilettata a chi affitta case, è mai possibile che a luglio ed agosto, in tempi di crisi, si affitti da più parti solo per 15 giorni o un mese? A prezzi piuttosto sostenuti oltretutto. Poi ci si lamenta che i turisti si portano pure le casse d’acqua da casa, o si mettono in 10 in due stanze ma è logico se quelle stanze costano 700 a settimana, in nero oltretutto. Poi ci si mette pure la malapolitica che aveva pensato bene di chiudere l’ospedale di Agropoli, cosa finora scongiurata da un intervento della popolazione capeggiata da alcuni sindaci della zona, Alfieri in primis.

Provo una rabbia incontenibile: Il Cilento ha uno dei mari più belli d’Italia, Paestum e Velia, testimonianze millenarie della culla della cultura, un patrimonio agro-alimentare unico al mondo e non si riesce a valorizzare tutto ciò??? Ma è normale che la statale tra Agropoli e Prignano sia interrotta da mesi per una frana e non si aggiusti per mancanza di fondi costringendo i turisti ad una deviazione per strade tortuose dell’interno.

Il mio Cilento, quello della quiete, dove la fretta è bandita, delle strade libere, delle pecore col pastore, dei sapori veramente locali, dove sta finendo? Mi restano le splendide freselle di un forno antico di Pattano, i liquori di un amico che raccoglie di persona le erbe, l’olio di un cocciuto che coglie a mano una ad una le olive e le pietre che hanno calpestato Zenone e Parmenide mentre discutevano sulla Aletheia, la verità ultima che anche io cerco ogni volta che con passo lieve, calpesto questa terra cilentana cercando di carpirne e trattenere per me, solo per me, la sua più intima essenza. INTELLIGENTI PAUCA, INTELLIGENTES PAUCI!!!!!!

*Fiduciario Slow Food

 


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