di Stefano Tesi
Ricordo alla perfezione il momento in cui il compianto Ugo Contini Bonacossi mi regalò questa bottiglia. Anzi, una cassa di queste bottiglie.
Ai primi anni duemila avevo accompagnato alla Tenuta di Capezzana un amico, che sapeva della mia familiarità con Ugo ed era ansioso di visitare la cantina. Il nostro ospite fu gentilissimo e amichevole come sempre. E al momento del congedo insisté affinché accettassi, con mio grande imbarazzo e non poche resistenze, quell’opulento omaggio.
Il Ghiaie della Furba fu uno dei primi supertuscan, nato nel 1979 con un taglio in parti uguali di Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc, quest’ultimo sostituito poi nel 1998 con il Syrah al 10% e una percentuale di Cabernet Sauvignon salita al 60%. Le “Ghiaie”, come molti sanno, sono quelle che compongono il suolo su cui sorgeva la prima vigna, prossima al torrente Furba.
Dopo tanto tempo sono andato a cercare cosa era rimasto di quella cassa e l’ho ritrovata in cantina, occultata tra molte altre.
In fondo c’erano ancora due bottiglie.
Una è quella di cui vi parlo e che ho stappato ieri sera coi soliti patemi che accompagnano l’apertura dei vini molto vecchi.
Capsula un po’ danneggiata e tappo molto imbevuto, ma integro e privo di sentori inquietanti: buon segno.
Ho lasciato comunque riposare e acclimatare la bottiglia un’oretta prima di versarla.
Il colore si è rivelato sorprendente, pieno e vivo oltre ogni aspettativa, fitto direi, solo appena opaco.
Anche al naso il vino è risultato intatto al primo affondo e nel bicchiere, col passare dei minuti, si è aperto a poco a poco scivolando dalle note piene ma un po’ ostiche dell’inizio a una lenta sequenza di tartufi, spezie, prugne, cuoio asciutto. Dopo ancora un po’ ecco affiorare qualche accenno balsamico e una vaga coda di legno.
In bocca, invece, il Ghiaie ’99 è apparso al primo impatto meno convincente: ancora apprezzabile, certo, ma un po’ stanco, direi seduto. Si riprende dopo una buona mezz’ora con una sorta di sussulto riacquisendo corpo, ampiezza, finezza e nerbo e regalando a lungo sorsi godibili prima di sedersi nuovamente e facendo comunque degna compagnia a una tagliata di chianina fatta come si deve da un amico capace.
Ora sono incerto che stappare la seconda bottiglia, se lasciarla invecchiare almeno un decennio per vedere l’effetto che fa o se conservarla per sempre a ricordo di quella grade persona, del vino e non, che è stato Ugo Contini Bonacossi.
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