La Cucina Italiana Patrimonio Unesco. Cosa significa? Ce lo spiega Pier Luigi Petrillo che ha curato l’istruttoria

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Professore come siamo arrivati a Dehli?
“Stavolta è stato tutto più facile rispetto alla pizza perché i due ministeri, quello dell’Agricoltura e dei Beni Culturali, hanno subito adottato la proposta a differenza di quanto fecero nel 2017 con la pizza. Quindi l’iter è stato molto più breve”.
Di chi è stata l’idea?
“Della direttrice della rivista la Cucina Italiana Maddalena Fossati e di Silvia Sassone che dirige una agenzia di comunicazione: la proposta fu lanciata nel 2019. L’anno successivo Federico Quaranta ci mise in contatto e dall’idea siamo passati ai fatti costruendo il dossier. Ci tengo a sottolineare che dopo alcuni tentativi nel 2023 è stato il sottosegretario Gianmarco Mazzi a crederci immediatamente e, subito dopo, dopo, il ministro Lollobrigida e l’ex ministro Sangiuliano. Quando i due ministeri deputati a candidare beni nazionali all’Unesco per la prima volta hanno proceduto all’unanimità la strada si è spianata e tutto è stato molto più facile”.
Siamo un paese strano. Qualcuno afferma che la cucina italiana non esiste. Come è possibile, allora, che diventi patrimonio immateriale dell’umanità Unesco?
“Credo che chi sostiene questa tesi sia concentrato sui prodotti e non sulla loro manualità e trasformazione. Noi italiani viviamo su un pontile lungo oltre mille chilometri nel cuore del Mediterraneo: è ovvio che quasi tutto quello che mangiamo, dai pomodori ai fagioli, dalle arance ai peperoni tanto per fare qualche esempio, siano stati portati da fuori. Ma la nostra peculiarità è proprio farli diventare italiani. Sarebbe come dire che l’espresso del bar non è italiano perché il caffè non si coltiva nella nostra Penisola”.

Restano però mille differenze fra le regioni, a volte nell’ambito di una stessa provincia e le nostre ricette non sono codificate come quelle francesi.
“Ma è proprio su questa biodiversità che abbiamo puntato. Non abbiamo candidato qualcosa di monolitico o di autentico e unico nel suo genere. La cucina italiana è un mosaico di tante diverse realtà accomunate però da un unico intendimento, la pratica della condivisione e della convivialità, il prendersi cura degli altri.
Non è questione di ricette, o di stabilire quanto burro o panna usare in una preparazione, ma il modo di stare a tavola e di rielaborare i prodotti. In questo l’Italia ha un suo stile inconfondibile dalla Val d’Aosta alla Sicilia, riconoscibile subito quando entriamo in un ristorante italiano all’estero, ed è il nostro modo di stare a tavola. Siamo l’unica cucina che ha “il primo”, tanto per fare un esempio immediato”.
Quindi non avete puntato su una realtà antropologica museale, quanto proprio sulla sua contemporaneità.

“Esattamente. L’affermazione della diversità dei territori e delle influenze dei popoli che hanno abitato la nostra penisola. Noi diciamo, ed è questo il valore aggiunto che la nostra cucina è inclusiva, non sciovinista, ha saputo prendere ingredienti originali altri e farli propri. Come una spugna a che assorbe tutto”.
Quali i criteri a cui vi siete dovuti attendere?
“Cinque. Abbiamo dovuto dimostrare il ruolo culturale della cucina, sottolineare la sua sostenibilità, il fatto che è qualcosa di reale e contemporaneo, che ci sono tracce scritte documentali e infine che questa candidatura viene dal basso e non imposta dall’alto. A Parigi i sei esperti hanno dato semaforo verde a novembre e adesso aspettiamo l’ok definitivo dall’assemblea”.
Come è formata la nostra delegazione a Dehli?
“Il capo delegazione e l’ambasciatore all’Unesco Liborio Stellino. Oltre a me, responsabile del comitato scientifico, ci sono Maddalena Fossati che presiede il comitato promotore e due alti funzionari del ministero, Maria Assunta Peci e Maria Sinibaldi”.
Quindi dopo quella messicana e francese è la volta della cucina italiana?
“Non per essere pignoli, ma noi siamo la prima cucina ad essere riconosciuta a livello nazionale. In realtà per i francesi si tratta del “Pasto Gastronomico Francese” mentre in Messico il riconoscimento è andato ad una regione specifica del Sud che si affaccia sul Pacifico, Michoacán”. Noi siamo i primi in cui il riconoscimento coincide con l’intero paese e le abitudini alimentari di tutto il popolo italiano”.


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