Pizza: contano di più le ricette o la materia prima?

Pubblicato in: La Pizza e basta

di Marco Lungo

Cari lettori, alla fine di tanti anni di discussioni in merito alla pizza, che idea vi siete fatti? Conta più la ricetta o contano di più le materie prime? Facciamo insieme alcune considerazioni. Sappiamo, ad esempio, che la Pizza Napoletana, sebbene perfino ormai codificata come ricetta in un disciplinare più o meno accettabile, non si riesce a fare fuori di Napoli e zone limitrofe nella stessa maniera. Non mettiamoci a parlare di fattori esoterici, per carità. Parliamo di fatti.

Ora, se ne dicono tante al proposito. L’acqua, in primis. Beh, l’acqua è un fattore importante per la pizza, però posso dirvi che non è decisivo. E’ sicuramente più importante per fare un buon caffè, e questo credo lo condividiate tutti.

Per la pizza, ci sono alcuni parametri necessari da rispettare, ad esempio in termini di durezza in gradi francesi, che deve essere compresa tra 7 e 25°f, appunto, per non parlare della presenza di disinfettanti a base di cloro che devono essere pressoché assenti, più il considerare alcuni minerali come determinanti al fine della costituzione dell’impasto.

Poi, ci sono le farine. Discorso lunghissimo, che ho intenzione di trattare in un articolo a parte perché ritengo che sia comodo un po’ a tutti fare chiarezza su questo aspetto, perché veramente se ne dicono tante, anzi, troppe su queste povere farine. Per oggi, quindi, mi limito a fare alcune considerazioni. Le farine sono sicuramente importanti, sono la struttura portante dell’impasto e degli aromi che poi esso sprigionerà, per cui la farina è sicuramente fondamentale. Le caratteristiche che deve avere sono perciò strutturali, in termini di forza, lavorabilità e stabilità di impasto, così come deve avere una fragranza e degli aromi che lascino il proprio segno sul palato quando gustiamo un pezzo di pizza.

Infine, parliamo un po’ del lievito. Se ne dicono tante anche qui, c’è da sempre una discussione spesso condita da molta ignoranza sul termine “lievitazione naturale” quando non esiste nulla, ma proprio nulla, che la codifichi, per cui a livello tecnico si parla di lievitazione naturale comprendendo quella che va dall’uso del lievito di birra ai lieviti madre alla pasta di riporto, che è la base della pizza napoletana.

Il lievito ha anch’esso una funzione nodale nella parte aromatica della pizza in quanto, a seconda di come si sviluppa e si usa, determina e/o veicola gli aromi che sentiamo in bocca e con il naso.

Qui, perciò, possiamo già dire una cosa. La pizza napoletana, fatta con il metodo del riporto, cioè usando nell’impasto un pezzo di pasta del giorno precedente, “cattura” in questo pezzetto dei batteri e dei lieviti che sono caratteristici di quel posto, e che non è detto affatto che si trovino altrove. Questo è quello che posso dire con un supporto scientifico e di logica. L’aria di New York non è l’aria di Napoli, c’è poco da fare, no? E così, anche un lievito madre sviluppato in un determinato posto, non sarà uguale a quello che si produce in un altro. Certo, magari poi lo vedremo insieme come si può realizzare un lievito madre su misura per le proprie esigenze, però la base è il catturare la flora batterica del posto e renderla compatibile con quella che porta con sé ogni farina ed ogni acqua, in parte mooolto minore.

Ciò spiega, in maniera abbastanza comprensibile e logica, perché pur portando le stesse farine e la stessa acqua in giro per il mondo, per non parlare dei forni, la Pizza Napoletana fatta ad arte, cioè con il riporto, non viene mai uguale come nel Napoletano. Non è, quindi, un mistero strano. E’ qualcosa che non si può replicare. Non a caso, a quel punto, fanno meglio all’inizio a portare invece da casa le paste madri all’estero che, di primo acchitto, sviluppano un prodotto simile a quello d’origine, però poi, con i rinfreschi, inglobano la flora batterica del posto e perdono la loro peculiarità. Anche il Lievito di Birra non è uguale tra l’Italia e l’estero. Pensate che il ceppo dei Saccaromiceti della Birra, da solo, comprende centinaia di entità diverse (altrimenti, che differenza ci sarebbe tra una birra ed un’altra. Lasciamo perdere, magari parleremo anche di questo, prima o poi…).

A questo punto, direte, la ricetta non conta nulla. No. La ricetta conta molto, invece. E’ che non si deve pensare alla ricetta come ad una strana alchimia, spesso frutto di una botta di fortuna e non di un preciso calcolo. La ricetta è, invece, frutto di un complesso intersecarsi di legami chimici che devono avvenire tutti e saturarsi a vicenda, in modo anche da non lasciare nulla di non voluto libero di andare a zonzo nell’impasto, creando effetti spesso indesiderati come, ad esempio, un aumento eccessivo dell’acidità che ucciderebbe molti lieviti.

Quindi, la ricetta è una scienza esatta. Oggi lo sappiamo, ed è l’elemento più replicabile di tutti, a dispetto dell’ignoranza che molti hanno tutt’oggi al proposito. Una ricetta ben fatta, a fronte di certe specifiche di materie prime coinvolte nell’impasto, si fa in qualsiasi parte del mondo. Non ci sono assolutamente problemi al proposito ed ho una buona esperienza di questo. Certo, non deve esistere assolutamente il “q.b.”, il quanto basta, neanche di cose come il sale. Ci sono rapporti precisi da rispettare, se vogliamo fare le cose fatte bene.

Di più. Una ricetta fatta a regola d’arte può e deve supplire alle carenze di alcune materie prime, perché comunque la ricetta non può prescindere da esse. Questo significa avere dei dati affidabili sull’acqua, sulle farine, sul tipo di sale (perché tra quello marino e quello di cava c’è tanta differenza), sul tipo di zucchero e sul lievito. Se questi dati sono in nostro possesso, un bravo tecnico può far replicare certi risultati anche a distanza, oggigiorno, senza sbagliare un colpo e prevedendo ogni comportamento della lavorazione dell’impasto.

Concludendo, perciò, noi oggi possiamo controllare molti parametri in più rispetto a qualche anno fa per creare ogni giorno il prodotto “Pizza” al suo meglio. Vi dico che i Giapponesi stanno facendo paura da questo punto di vista, tanto per dire un popolo da temere veramente. Ricette e materie prime vanno di pari passo. Serve tanta conoscenza in più, però. Oggi sono da ammirare i pizzaioli che studiano e che sperimentano innovando nel solco della Tradizione, perché non c’è altra strada per progredire da adesso in poi.

Non capirlo, significa che un domani, neanche troppo lontano, qualcuno probabilmente analizzerà l’aria di Napoli e metterà uno ad uno i batteri che ha nel riporto, perché oggi la scienza attuale è già in grado di farlo. Tanto, l’acqua si replica, le farine si importano, le ricette si codificano e i pizzaioli nostri se ne vanno all’estero come tanti altri cervelli e braccia sono costretti a fare da anni per colpa della miopia dei nostri governanti.

Potrebbe anche farmi piacere, un giorno, mangiare una Margherita a Tokio come se fossi a Napoli, però mi roderebbe tanto il chiccherone…

E a voi?

 


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