Lo strano caso di Giuseppe Vesi e la sindrome del colonizzato gastronomico

Pubblicato in: Polemiche e punti di vista

Ha fatto scalpore, ripreso da siti e virale sui social, il video di Giuseppe Vesi in cui afferma che Milano è una città dove si può andare con il Rolec (così ha detto) fuori dal finestrino senza che ti taglino il braccio come a Napoli. Infatti a Piazza Municipio c’è una campana con tutte le braccia mozzate che poi vengono riciclate dal vicino Mc Donald’s:-)
La volgarità e la subcultura dell’ostentazione tipica del parvenue sono state già duramente colpite da migliaia e migliaia di commenti che hanno spinto persino i fratelli, titolari di una pizzeria a via Tribunali, a prendere ufficialmente le distanze con un post su Facebook.
Ma il vero punto su cui pochi hanno riflettuto è il contenuto del messaggio.
Vero, Vesi ha offeso la sua città ma ha promosso un luogo comune che molti al Nord trovano naturale. In fondo, vi sembrerà strano, Napoli è ancora vista come una città esotica, vissuta come noi italiani possiamo vivere oggi Baghdad. Se è difficile trovare un meridionale che non è mai stato a Milano o Torino, sono tantissimi quelli sopra il Po che non sono mai stati a Napoli. Incredibile ma è così.
Vesi da sempre fa questo gioco contro la sua città e le sue origini: entrò nel mondo pizza cavalcando le tesi di un mulino secondo cui i pizzaioli napoletani sono tutti avvelenatori perchè usano la farina 00 che lo stesso mulino produce in gran quantità per McDonald’s, che a Napoli la pizza non si sa fare e che lui, Vesi, era il profeta della pizza Gourmet, ossia di una visione della pizza in cui c’è l’impasto focaccia e il condimento.
Ora in quale paese del mondo qualcuno pensa di fare affari e diventare popolare parlando male dei propri concittadini, delle loro abitudini respingendo le proprie radici?
Il Sud che vive ancora, inconsciamente, il senso della sconfitta che ha portato all’Unità e che legge come veri gli storytelling che da sempre i vincitori, con la complicità dei loro colonizzati, consegnano alla storia. Tutta la nomea pessima di cui soffrono i Borbone è frutto della costruzione propogandistica degli esiliati che non erano riusciti a rovesciare da soli il Regno.

Ma senza andare tanto per le lunghe, questo atteggiamento resiste ancora oggi dopo tanti decenni di unità nazionale. In fondo, un Meridionale deve ancora dimostrare prima di non essere un ladro per potersi affermare. Certo, non sono più luoghi comuni così diffusi, ma c’è chi li cavalca ancora (vedi Lega sino a poco tempo fa)

La battaglia del cibo da questo punto di vista è esemplare e di questo voglio parlare.
In fondo la cultura gastronomica napoletana in particolare e meridionale in generale è quella meno omologata rispetto alle regole e ai sapori che le multinazionali stanno imponendo in tutto il mondo. Un sacca antropologica che va distrutta per dar modo ai Pizza Hut o Domino’d e alle altre catene di entrare in un mercato di oltre sei milioni di persone dove l’artigianato alimentare la fa ancora da padrona nei piccoli gesti quotidiani.

Una battaglia che raggiunge punte ottuse, come le dichiarazioni di Vesi contro i colleghi avvelenatori, ma anche sofisticate, come convincere i giovani cuochi che per farsi notare devono fare i risotti perchè la pasta non ha la stessa dignità delle guance di vitello cotte a bassa temperatura.
Qualcuno ci cade perchè la scorciatoia è evidente: il meno napoletano dei pizzaioli e il meno mediterraneo dei cuochi saranno subito proclamati migliori da chi viene da fuori perchè più facilmente leggibili. Le focacce di Vesi fatte con ingombrante farina 1 e 2 che andrebbe destinata per il pane sono ben comprensibili da chi ha mangiato una pizza la prima volta a 40 anni. E i piatti confezionati con prodotti acquistati dalle potenti lobby del cibo che dettano i temi nei congressi saranno sicuramente più apprezzati di quelli che hanno i prodotti del macellaio locale, il casaro del territorio, il pescato del giorno.
E questo vale anche per la critica gastronomica, chè dall’essere macchietta folcloristica di un passato che nega ogni aggiornamento e essere colonizzato dai gusti e dai palati degli altri c’è forse la via dell’autonomia e della costruzione di una narrazione che corrisponda alle sensibilità di un territorio che non è omologato.

Ecco, dietro l’atteggiamento di Vesi c’è questo: da un lato artigiani, cuochi, ristoratori, produttori che usano la tradizione come trampolino di lancio veso la modernità e capace di dettare i tempi anche fuori dal proprio contesto (la salubrità del cliente e dell’ambiente, il primato dell’orto mare, dell’olio d’oliva, tanto per fare qualche esempio), dall’altro lecchini subalterni e caricaturali simili a quei ristoranti che imbottivano le cantine di vini francesi perchè pensavano che così si prendevano le stelle.

Al di là del caso umano, del disturbo emozionale che crea quel video, bisogna avere chiaro che è la punta di un iceberg di cui Vesi non è neanche l’elemento più pericoloso per l’agroalimentare mediterraneo essendo ormai divenuto una macchietta.
I veri costruttori di lager dove viene bruciato il patrimonio gastronomico nazionale sono quelli che davanti ad un piatto di pasta guardano il cuochino tremolante e dicono: tutto qui? Dimenticando che dietro quel piatto di pasta c’è una delle culture gastronomiche più forti e diffuse del mondo.
Perchè, a ben vedere, la farina 00 è qualcosa di molto più avanzato quando ottenuta senza procedimenti chimici, di una con residui di fibra. Con la seconda mi ci faccio un bel pane magari con il pomodoro, con la prima una pizza.
Con il permesso di Vesi, ovviamente, e del suo Rolec. Il Rolec Gourmet

 


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