Almeno a Natale, stop all’omologazione alimentare. La parola d’ordine è riscoprire le ricette della tradizione che altrimenti rischiano di scomparire per sempre dalle nostre tavole.
Èquesto il grido di allarme lanciato dall’Accademia Italiana della Cucina che scende in campo per difendere le radici cultural-gastronomiche dei tanti campanili italiani. Come testimonia una recente ricerca sul menu degli italiani a
Natale, fatta eccezione per alcuni capisaldi – tortellini in brodo, cappone, bollito misto, baccalà e capitone – si riscontrano numerose «assenze ingiustificate» dei piatti simbolo della tavola natalizia.
Al contrario trionfano grandi classici come le lasagne (sia per la Vigilia che per il pranzo di Natale), in continuità con il pranzo della domenica ma lontano dai rigorosi dettami della tradizione.
Si registrano persino inedite incursioni – oggi 1 italiano su 4 mangia i salumi anche la sera della Vigilia – che rompono tutti i ponti con la tradizione religiosa legata alla cena di «magro». Una cucina, insomma, che non vive più come la raccontano i vecchi libri di ricette o come la ricordano i nostri nonni. Ed è proprio partendo da questo quadro un po’ sbiadito di un Italia gastronomica ricca ma a volte immemore che l’Accademia Italiana della Cucina, in occasione del Natale invita le famiglie italiane ad «adottare» una ricetta regionale «dimenticata», riscoprendo il valore sociale, tradizionale e «religioso» della madre di tutte le feste.
Per farlo mette a disposizione del pubblico la sua ultima iniziativa editoriale intitolata «La cucina delle festività religiose», oltre al ricettario nazionale della cucina regionale italiana (circa 2.000 ricette tradizionali) disponibile online su www.accademiaitalianacucina.it.
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