Maurizio De Simone e Raffaele Pagano. Attenti a quei due: nasce il Fiano pre-fillossera!

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Incrociamo le dita: l’incontro tra l’enologo Maurizio De Simone e Raffaele Pagano di Joaquin può portare a risultati imprevedibili. Le due testematte del vino campano hanno tanta voglia di uscire dalla banalità e dai percorsi usuali. Possono permetterselo grazie al grande bagaglio culturale, colturale e commerciale accumulato in questi lunghi anni di lavoro nel mondo del vino campano.

Sicché in uno dei miei consueti giri irpini entro nella cantina Joaquin: no, non è un sito nucleare iraniano, ma uno show room di progetti e idee nuove del vino irpino, avvilito da cataloghi troppo uguali, poca ricerca e quasi nessuna sperimentazione zonale e di territorio. Entro e , clic, vedo Maurizio armeggiare vicino tre botti di castagno, il legno da sempre usato in passato per fare vino in Campania.


Fermentazione in legno, su bucce. Ma di cosa: molto semplice da chicchi nati in piante vecchie, a piede franco, sopravvissute negli orti e nei giardini dei piccoli contadini. Già, perché nella viticoltura sta succedendo la stessa cosa che è accaduta con l’architettura rurale: via la pietra e il legno, sì al cemento. Si sega il vecchio e forza con nuovi impianti a tutto spiano. Il che può avere ragione quando si opera su grandi numeri e nel caso di una azienda nuova, non certo se si è piccolini.
La vendemmia 2011 di Maurizio e Raffaele è duranta allora cinquanta chilometri circa

Nella mia vita mi sono spesso chiesto come dovessero essere belle le città del Golfo di Napoli prima dello tsunami di cemento. E poi quale potesse essere il sapore del vino dei nostri nonni e bisnonni. La prima risposta posso solo immaginarla guardando antiche stampe, la seconda l’ho trovata a Tramonti, il regno delle viti giganti che camminano, e forse me la daranno qui, in questo moderno stabilimento dove si studia il passato.


Stesso protocollo per uve divise in tre areali. Prima impressione? Sulfurea, metallica, tosta, solo in seconda battuta fruttata. Ma parliamo di vino che ha meno di 30 giorni, abbastanza per capire l’umore del suolo irpino.
Forza ragazzi. Fate bene e soprattutto senza fretta:-)


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